𝑷𝒓𝒊𝒎𝒐 𝑽𝒐𝒍𝒖𝒎𝒆 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑻𝒉𝒆 𝑵𝒆𝒘 𝒀𝒐𝒓𝒌 𝑩𝒐𝒚𝒔 𝑺𝒆𝒓𝒊𝒆𝒔
Nascere in un posto freddo e malsano, sporco di malaffari, egoismo e crudeltà può portare una persona a diventare come il luogo in cui vive.
L'oscurità può trapassare l...
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Il giorno dopo ne approfittai per riprendermi, dato che non lavoravo. Quella era stata la prima volta che assistevo a situazioni tanto difficili quanto scomode; tanto strazianti quanto adrenaliniche, in un certo senso.
Insomma, non c'ero abituata. E in più, ero troppo empatica. In particolare con i pazienti e i loro familiari. Di conseguenza, il loro dolore diventava anche un po' mio. E, se da una parte questa sembrava una bella cosa, dall'altra mi complicava tutto. Come d'altronde s'era visto...
«Tra un paio di settimane sarò a New York! Non sei contenta di passare tutta l'estate con me? Faremo faville!»
Apple al telefono era entusiasta, ed io impaziente. Non vedevo l'ora di vederla e abbracciarla forte. Ne avevo bisogno.
«Non sto più nella pelle», le dissi infatti. «Così ti farò anche conoscere Cassie. A pensarci, non siete poi tanto diverse. Secondo me andreste molto d'accordo».
Avevo il vivavoce, e mi parve di averla in stanza con me quando la sentii ridere. Mi stavo preparando: quel pomeriggio sarei uscita a fare shopping con mia sorella. Le compere erano per il suo dolce arrivo: biberon, ciucciotti, bavette... addirittura già alcuni giocattoli. Prima che Apple mi chiamasse, Bryanna mi aveva letto una lunga lista di cose da prendere.
«E... del tuo tenebroso che mi dici?»
Roteai gli occhi. Non poteva vedermi, ma fu come se lo avesse fatto perché disse: «Ehi! Sono la tua migliore amica. Mi è lecito chiederti come va la tua vita amorosa. Anzi, è d'obbligo!».
Scoppiai a ridere. «Ieri è venuto in ospedale per parlarmi».
Tacque, aspettando che continuassi, ma non lo feci. «E...?»
«E nulla. Non c'è più stato modo: sono dovuta correre a lavoro. C'è stata un'emergenza».
«Non si è ancora fatto sentire?»
«No».
«Perché non gli scrivi tu? In fondo, me l'hai detto tu che vorresti finalmente rivelargli il tuo amore dopo aver parlato con tuo padre».
«Sì, ma...». Il campanello mi interruppe e un messaggio di mia sorella arrivò in contemporanea. «Devo andare. Mia sorella mi sta aspettando». Era arrivata in taxi, perché la sua auto ce l'aveva il marito. E la seconda era a riparare. Mi ero proposta di andarla a prendere, ma si era rifiutata.
Prima di salutarci, se ne uscì con un frase molto saggia. «Non farti sfuggire la felicità, Mya. Vi amate: è tutto ciò che conta davvero».
Dal canto mio, non le davo completa ragione. La vita mi aveva insegnato che solo l'amore non basta: a volte ci sono cose che riescono a scavalcarle, a calpestarlo. Ad esempio, delle paure o un brutto passato... Ma non era quello il nostro. Noi ce l'avremmo fatta.