C𝒶 p𝒾tℴlℴ 8

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Friedrich
𖥸











Avevo fatto parecchi sbagli nella mia vita. Forse più errori che cose giuste.
Ma niente, a confronto, mi era parso più ingiusto di quello che stavo facendo: baciare Mya Valentine.

Persino il suo nome era più dolce del miele. Ed io ero troppo amaro. Troppo aspro.

Mi ero ripromesso di starle lontano... di non rovinarla con le mie mani sporche di sangue e di strada. Perché? Perché era la persona più buona che avessi mai conosciuto. E, per quanto in certi momenti giocasse a fare la forte, non lo era poi così tanto. Non abbastanza per uno come me, almeno.

Ad ogni modo, ormai il danno era fatto: le mie labbra avevano toccato le sue, sigillando il legame tra le mie ombre e la sua luce.
Avrei potuto staccarmi, ma non ci riuscivo. Come non ero riuscito a starle lontano da quando l'avevo conosciuta.

Le sue dita sottili e delicate mi stavano ancora stringendo i polsi mentre schiudevo le labbra sulle sue per accarezzargliele, ed intrufolavo la lingua per assaporarla.

Lei, ancora una volta, mi lasciò fare. E ben presto ricambiò il mio bacio. All'inizio pareva incerta, come se non ricordasse più come si facesse. O come se stesse valutando la gravità di quello che stava accadendo. Tuttavia, non diede cenno di voler smettere, anzi.

Era così delicata... e i suoi movimenti erano così estenuamente lenti che riuscii ad assaporare profondamente ogni momento di quel bacio.
Inaspettatamente, tutta quella dolcezza mi stava piacendo.

Quella ragazza mi stava stordendo. E ci stava riuscendo con un semplice e morbido tocco di labbra.

Ad un certo punto, le sue dita decisero di osare un po' di più. Perciò mi scivolarono lungo le braccia, mi perlustrarono i pettorali e si concentrarono maggiormente sulle linee accennate dei miei addominali, per poi fermarsi sui fianchi.
Pareva che nelle mani avesse il fuoco, perché mi bruciava ad ogni suo tocco. Ora non sapevo quanto fosse stato saggio non indossare la maglietta, perché Mya stava riuscendo a farmi perdere quel briciolo di autocontrollo che mi era rimasto con le sue carezze e la sua lingua timida e audace al tempo stesso.

Come poteva esserci tanto equilibrio in una persona? Io in me avevo solo caos... tanto caos. E l'armonia di Mya forse era la cosa di cui avevo bisogno per non impazzire.

Al suo ennesimo gemito, non seppi più trattenermi: volevo darle di più, ed io volevo avere di più.

Le strinsi i fianchi e la spinsi contro di me, facendo scontrare le nostre parti più intime ed eccitate. E quando mi cinse il collo con le braccia osai spostare le mani sul sedere e tirarla su. Fu costretta a circondarmi la vita con le sue belle gambe nude.

Indossava una delle mie T-shirt (che tra l'altro le stava enorme) e sotto aveva il sottilissimo tessuto delle mutandine. C'era troppo poco di mezzo per non sentire la sua pelle e il suo calore sulla mia. E questo non fece altro che aumentare il mio desiderio.

Gemette ancora e ancora mentre scendevo sul suo collo. E me lo lasciò fare, senza preoccuparsi che potessi lasciarle il segno.
Con lei in braccio, la bocca occupata e gli occhi chiusi avanzai verso il punto dello stanzino dove ricordavo ci fosse la lavatrice, e la feci sedere lì.

Mi staccai per riprendere fiato e poggiai la fronte sulla sua. Per qualche ragione, non avevo il coraggio di staccarmi e guardarla negli occhi.

Per la prima volta, dopo tanto tempo, non avevo paura solo di me stesso, ma anche di qualcun altro. Avevo paura di Mya e di cosa avrebbe detto una volta realizzato quello che era successo. A meno che non l'avesse già fatto.

CHAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora