Friedrich
𖥸Inspirai lentamente il fumo e lo esporai nello stesso modo creando una nuvoletta biancastra davanti a me che si disperse nell'aria. Mi riportai la sigaretta alle labbra e rifeci la stessa cosa per un paio di volte.
Le prime luci dell'alba stavano colorando il cielo; le stelle - quelle poche che si riuscivano a vedere in città - erano quasi del tutto sparite.
Ero completamente nudo, affacciato alla finestra. Tirava una brezza fresca ma stranamente non sentivo freddo. Era piacevole.
Di tanto in tanto abbassavo lo sguardo sulla strada, e in una di quelle volte adocchiai un tizio che mi salutò (probabilmente era ubriaco o fatto). Non lo avevo mai visto in vita mia, ma sollevai comunque la mano per ricambiarlo.
Dopo un altro tiro della mia sigaretta, controllai l'ora sull'orologio che portavo al polso e mi dissi che era arrivato il momento di andar via.
Finii di fumare e gettai il mozzicone dalle finestra, per poi richiuderla. Vagai per la camera in cerca dei miei vestiti, poi ricordai che il primo round si era tenuto in salotto. Perciò mi avviai silenziosamente verso l'altra stanza dopo aver lanciato un'ultima occhiata ad Harper, che dormiva beatamente nel suo letto.
Trovai i boxer su una lampada (non capivo come fossero finiti lì), i jeans sul tappeto insieme alle scarpe, la T-shirt e la felpa lungo il piccolo corridorio verso l'entrata e il bomber ai piedi dell'attaccapanni. Raccolsi i miei vestiti - scartando quelli di Harper - e indossai tutto tranne la felpa e il giubbino, perché tanto dovevo percorrere solo un paio di metri per andare a casa mia. Mi chiusi piano la porta alle spalle e raggiunsi il mio appartamento. Ovviamente, Yako scattò sull'attenti e cominciò a fare il giocherellone quando realizzò che ero io. Per fortuna non abbaiò, ma si muoveva come una palla impazzita, e ad un certo punto sbatté contro un mobile.
Scoppiai a ridere. «Calmati, Yako. Faʼ il bravo». Lo accarezzai, poi gettai gli indumenti che avevo in mano sul divano e versai i croccantini nella ciotola del cane, dato che ce n'erano rimasti pochi. E lui andò subito a gozzarsi, con la coda che sbatteva qua e là.
Andai a farmi una doccia e quando terminai erano già le sette del mattino. Ero stanco, e avrei voluto dormire, ma sapevo già che non avrei riposato granché. Ormai non ricordavo più l'ultima volta che avevo dormito realmente bene.
Entro un paio d'ore sarei dovuto andare a lavoro. Ma, dato che l'officina in cui lavoravo (sì, facevo anche un lavoro onesto) era a pochi passi da casa, decisi di prendermela con comodo.
Mi gettai sul letto con ancora l'asciugamano in vita e restai a fissare il soffitto fin quando le palpebre non si fecero troppo pesanti per restare aperte. Crollai.
Mi svegliai un'oretta dopo, ancora più stanco di prima.
Mi misi seduto sul letto e mi strofinai le mani sulla faccia, mentre sentivo le zampe di Yako muoversi per la stanza. Quando tolsi le dita sugli occhi, mi ritrovai davanti un muso peloso. Sorrisi debolmente e gli accarezzai la testa.
«Che bella la mia vita, eh, Yako?»
Preferii pensare che stavo delirando per il sonno, piuttosto che ammettere a me stesso che ero... triste. E insoddisfatto.
STAI LEGGENDO
CHAOS
Romance𝑷𝒓𝒊𝒎𝒐 𝑽𝒐𝒍𝒖𝒎𝒆 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 "𝑻𝒉𝒆 𝑵𝒆𝒘 𝒀𝒐𝒓𝒌 𝑩𝒐𝒚𝒔 𝑺𝒆𝒓𝒊𝒆𝒔" Nascere in un posto freddo e malasano, sporco di malaffari, egoismo e crudeltà può portare una persona a diventare come il luogo in cui vive. L'oscurità può trapassar...