C𝒶 p𝒾tℴlℴ 10

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Mya
𖥸













Fu strano passare i tre giorni successivi in ospedale come paziente, e non come infermeria. Ad assistermi era stata Cassie, assieme ad un altro collega e il dottor Stanford. Fu un po' come stare in famiglia.

«È un miracolo che tu sia ancora viva», aveva detto Cassie poco dopo che avevo ripreso conoscenza. E le davo ragione.

Da quel che mi avevano riferito, il coltello aveva sfiorato il rene destro e per pochi millimetri avrebbe rischiato di perforarmi il fegato. A quella notizia, mi si era mozzato il fiato.
Inoltre, avevo perso non poco sangue. Tuttavia, non c'era stato bisogno di una trasfusione perché la ferita era stata tamponata subito e i soccorsi erano arrivati in tempo. Fu una fortuna, dato che il mio gruppo sanguigno era alquanto raro, e quindi difficile da trovare.

Ringraziai il fato o qualunque essere sovrumano mi avesse graziato.

In conclusione, non avevo alcun organo vitale leso, ma solo un brutto e profondo taglio ricucito che avrei dovuto portarmi addosso per sempre.

Ancora non mi pareva vero.

Mi ero avvicinata alla morte, ma ero viva. E questo aveva in un certo senso cambiato la mia visione della vita.

Dal momento che avevo riaperto gli occhi, avevo deciso di volermi godere a pieno ogni attimo. Volevo vivere ogni giorno della mia vita senza pensare troppo a quello che sarebbe stato. Volevo cambiare in meglio.

Mi era stata data una seconda occasione, e non volevo sprecarla.

«Dimmi che stai bene».

Erano appena le due di pomeriggio; se tutto sarebbe filato liscio, quel giorno sarei tornata a casa. Lo avevo appena detto ad Apple, ma lei si ostinava a chiedermi se fosse tutto okay.

Schiacciai il cellulare tra l'orecchio e la spalla per poter piegare la maglia ed infilarla nello zainetto che mi aveva portato mia madre. Dentro ci aveva infilato i cambi di una settimana!

Sempre così esagerata...

«Sì, Apple, sto bene». Ma appena terminai la frase, la pelle ricucita tra il fianco e la pancia mi tirò e bruciò. Mi sfuggì un lamento, che non passò inosservato alla mia amica.

«A me non sembra». Anche se non potevo vederla, la immaginai mentre aggrottava la fronte e faceva una smorfia strana con le labbra.

Sospirai. «È normale che il taglio mi faccia ancora un po' male. Sono passati solo pochi giorni...». Misi via lo zaino e mi sedetti lentamente sul letto. Era meglio evitare movimenti bruschi.

«Senti...». Sapevo già cosa stava per dire. «Lo so che ne abbiamo già parlato, ma...».

«No, Apple, non ha senso che tu venga. Sto bene, sono viva. E appena mi ristabilirò completamente tornerò a lavoro. Non c'è nulla di cui preoccuparsi. Non vale la pena che molli tutto a Bruxelles per me».

Sospirò, rassegnata e convinta dalle mie parole.

È stato facile, pensai.

«D'accordo. Per stavolta facciamo che hai vinto tu».

Stavo per cambiare discorso, quando sentii brontolare: «Tutta colpa di quel tedesco...».

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