C𝒶 p𝒾tℴlℴ 26

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Mya
𖥸

Mya𖥸

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SONO ARRIVATA A CASA SANA E SALVA. GRAZIE PER LA BELLA SERATA, BUONANOTTE!

Quella sera, Cassie mi aveva invitata a casa sua per passare una semplice serata tra donne.

«Guarderemo un bel film e ci riempiremo di gelato!», aveva preannunciato. Ed era stato così. Tuttavia, l'argomento "ragazzi" era inevitabilmente finito tra le nostre conversazioni: lei mi aveva raccontato di come la frequentazione con Asher andasse a gonfie vele, mentre io ero finita col piagnucolare per la mia nemmeno-iniziata-storia d'amore-finita male.

Ci eravamo salutate verso l'una di notte e mi aveva fatto promettere di scrivere quando sarei arrivata a casa - giusto per rasserenarla. 

Ero appena uscita dall'ascensore ed ero troppo impegnata nel cercare le chiavi di casa nella borsa per non spaventarmi quando - sollevando la testa - trovai una persona seduta sul mio zerbino.

«Oh mio dio!». Mi portai una mano al petto e le chiavi caddero a terra con un tintinnio. 

Accesi la luce del pianerottolo mentre continuavo a frugare nella borsa nel tentativo di trovare il mio spray al peperoncino. Dopo gli avvenimenti degli ultimi mesi, avevo ben pensato di attrezzarmi. Non si poteva mai sapere...

Mi tranquillizzai, però, quando mi accorsi che quello a terra non era uno qualunque, bensì... Friedrich

Sollevò la testa e mi fissò. Aveva lo sguardo perso; gli occhi ridotti a due fessure così lucidi e rossi che solo uno stupido non avrebbe capito che era ubriaco marcio. 

«Friedrich... Santo cielo!». Recuperai le chiavi e mi avvicinai a lui. 

Per tutta risposta, mi mostrò un sorriso sbilenco e biascicò qualche parola insensata. «Ciao, angelo del Paradiso».

Idiota. 

«Ma che ci fai qui?»

«Sei davvero bella oggi».

Stupida io che cercavo di conversarci. Non era proprio nelle condizioni. 

«Andiamo...»

Mi chinai e gli feci scivolare un braccio sulle mie spalle, nel tentativo di sollevarlo. Ma a malapena riuscivo a tirarlo. Cavolo, pesava come un bue!

Rise. 

Cos'aveva da ridere?! Ah già, era ubriaco. 

«Andiamo, Friedrich, dammi una mano! Non riesco ad aiutarti così...»

«Aspetta, aspetta». Continuava a storpiare le parole, non credevo vero che riuscissi a capirlo. Tentò di sollevarsi da solo; io, dal canto mio, tentai ancora di tirarlo su. Alla fine, non so come, ma riuscimmo a metterci in piedi e ad entrare nel mio appartamento. 

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