Capitolo 38

45 5 0
                                    

Pomeriggio.

Gennaio sembrava non terminare. Il sole nascosto fra le nuvole.

I giorni passarono, non molti, ma era come se lo fossero, infiniti, noiosi tutti uguali. Solita routine. Persone dimenticate nelle loro abitudini e traffico con clacson pigiati. Asfalto bagnato per la breve ma bizzarra umidità mista a pioggia che bagnava la città.

Delle campane in lontananza. Chiacchiericci nei marciapiedi fra conoscenti con parole di piacevole conoscenza un ciao, stammi bene, vediamoci e dopo il ridarsi le spalle per vie diverse. Negozi, bar, locali tutti indaffarati nel servire ed accogliere quel pomeriggio tanto brusco e non voluto, non per Ermal. No.

Uno sbadiglio, l'impazienza e quell'attesa che tanto gli dispiaceva intanto che aspettava il suo turno in quell'edificio di ospedale seduto nelle poltroncine di plastica che davano un aspetto avverso dal loro colorito opaco eguali alle porte che ora in quell'istante stavano di fronte a lui ma chiuse.

Uno sbattere di tacchi delle scarpe nervoso. Braccia allungate, mani ad unirsi in una sorta di pregare ma dita arricciate che richiudevano l'ansia dentro di esse. Sospiri molto più lunghi dovuti anche al faticoso respirare e la mancanza di impazienza che scorreva come un fiume dentro Ermal.

Occhi vacui, le occhiaie più approfondite non erano sparite ed il viso più scarno e labbra secche ed un po' mordicchiate per la paura. Paura mai sparita eppure era sedutagli.

Non voleva essere lì – era stato in grado di dirsi per tutta la mattina – fino all'arrivo del pomeriggio che non era necessario sapere di più di ciò che gli scorreva dentro al corpo, non intendeva ingrandire il dubbio ed il volersi rassegnare aumentava.

Dopo una sorta di mattinata di svegliarsi presto, aprire gli occhi ma con nessuna voglia di alzarsi sapendo cosa lo aspettava il pomeriggio al ricordo non si mosse dal suo letto. Un mormorio nel dirsi che sarebbero bastati cinque minuti ancora perché il sonno lo richiamava.

Non subito, passò qualche altra ora prima di rendersi conto di avere dormito più del necessario. L'alzarsi ed il controllare quasi spesso se nel suo cellulare a conchiglia avesse ricevuto messaggi o chiamate che trovava poi da Fabrizio ma che sfortunatamente riusciva a prendere invano perché quando ci riprovava la linea dava risposta di chiamata persa. Dubbi e col riprovarci più tardi si accorse che era il momento di mandare qualcosa giù nello stomaco per quanto dopo se ne sarebbe pentito.

Del cibo avanzato che Marco prontamente gli portò la sera prima condividendolo con lui fra un parlare e l'altro per distrarlo con riferimenti alla musica e scene accadute durante il suo lavoro di barista.

Così disse il chitarrista volendo togliere da quella piccola stanza il mal d'umore. L'avviso di sfratto dimenticato al momento ma pur sempre nei pochi istanti di buio nella quale Ermal ricadeva spesso per timore di quello che sarebbe accaduto se non avesse pagato in tempo.

Lacrime, pensare e pensare ad un'alternativa ma che non c'era perché una cifra era stata inserita e lui non la possedeva. Non disse niente a Fabrizio in quelli che erano i rari momenti nella quale si sentivano.

"Tutto bene", "Oggi ho scritto" ed "Mi manchi", frasi alternate ma indecise, che causavano a volte silenzi nella linea e parole non aggiunte.

Risposte come disco rotto, ripetitive che in realtà spezzavano il cuore di Ermal in molti pezzi non volendo dargli altri dispiaceri.

Moro d'altro canto insistette per saperne di più ma le labbra di Ermal non indugiavano oltre inserendo una risata sarcastica con tanto di occhi al cielo per placare la voglia di lasciarsi sfogare a gran voce proibendo ai suoi pensieri di dire la verità che no non stava bene e che con molte probabilità al suo ritorno il ricciolo – sperava il prima possibile – sarebbe stato gettato in mezzo ad una strada se non avesse dato ciò che aspettava al proprietario del suo piccolo posto.

Dicembre || Ermal x FabrizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora