Capitolo 1

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L'ennesimo ticchettio di un orologio a parete di un vecchio hotel scandì l'ennesimo minuto, l'ennesima sigaretta.

Fogli sparsi ovunque stropicciati ed altri eruttavano nel cestino di quella scrivania che aveva visto giorni migliori.

Una chitarra appoggiata al suo fianco che a vedersi sembrava nuova o forse avrebbe preferito essere aggiustata con qualche nuova corda dato che il suo proprietario non poteva permettersi di dargli le giuste attenzioni che meritava. Lei era lì che lo fissava, silenziosa in quel monotono e sgradevole sconforto in cui Ermal, il ragazzo di una vita sgretolata, era rinchiuso.

Un foglio di fronte ai propri occhi era vuoto, bianco, senza nessun tipo di parola o scribacchiatura che poteva definire la sua canzone terminata o anche solo degna di sentirsi definire tale.

" Tu sei come il mare, ogni tanto devo dirt-.."

No, non era questo che i propri pensieri gli proponevano.

La sua voce mescolata ad essi non aiutavano la situazione. Da quanto era lì? Un giorno? Ore? Minuti insieme ai secondi? No; una settimana era un po' troppo per auto convincersi e dirsi che la canzone in sé era tutto fuorché degna. Non c'era un tempo, non c'era nessun tipo di contratto; allora perché si ostinava tanto a scrivere e comporre un qualcosa che l'essere umano non avrebbe mai voluto sentire cantata da un vagabondo? Viaggiava, quando poteva permetterselo con treni, autobus, tram, aerei, ma non sempre quei spiccioli guadagnati in bar o pub o parchi o marciapiedi lo aiutavano. Erano troppo pochi, troppo inutili per permettergli di mangiare adeguatamente quando poteva permetterselo dimenticando persino in certi casi ma il suo stato emotivo e il proprio stomaco vuoto gli sussurravano che non era importante. Poteva vivere anche senza e così era.

Uno sbuffo sorvolato poi dall'ennesima sigaretta spenta nel posacenere al proprio fianco quando i suoi occhi stanchi, scossi dalle occhiaie e dalle poche forze che ormai lo afferravano, scrutarono il fuori di quella finestra che illuminava la città. Non era proprio sua, era arrivato lì per per pura fortuna se non grazie a qualche spicciolo messo da parte per le emergenze.

Una chitarra vecchia, uno zaino contenente solo pochi ricordi e vestiti gli ricordarono quanto fosse stato fortunato a trovarsi dove era adesso. Il freddo dei viottoli, le panchine dei parchi non erano di certo un vantaggio per le proprie ossa magre e piene di lividi, lividi del passato, lividi di un presente che non sarebbero mai guarite. Il freddo entrava dentro le ossa nelle sere gelide e nevose. Un riparo era tutto ciò che era riuscito a trovare: un vecchio hotel del tutto pieno di crepe e muffa che poteva dargli almeno una stanza decente per lavarsi, dormire e comporre.

Le proprie tasche piangevano così come i propri pensieri nel sperare che la fortuna prima o dopo lo avrebbe afferrato. Non chiedeva molto, non chiedeva l'impossibile. Lui gridava solo un po' di comprensione, un consiglio o conforto; una vita, una più decente da quella che il destino gli proponeva. Non ci credeva non proprio no anche perché la sua volontà era del tutto prescritta da quel fatidico giorno in cui si era scontrato con un ragazzo. Solo il nome ed un caffè offertogli perché la sua simpatia lo aveva catturato e poi..

"Addio.". Le parole di Ermal risuonarono nella stanza piccola e umida quando quel ricordo gli passò improvvisamente i pensieri.

Nessun nome, non glielo aveva detto e neanche sussurrato quando nel presentarsi entrambi si erano guardati qualche secondo capendosi a vicenda. Il ragazzo non si era presentato perché come lui disse non era importante. Ermal non lo interrogò e dopo quel solo caffè, be', il ragazzo in questione era sparito, non c'era più.

"Devo prendere un treno.". Così la sua voce, con sillabe quasi mangiate, disse al riccio quando si separarono ognuno per la propria strada di quella sera di metà novembre.

Ermal non lo vide più, non lo incontrò e neanche seppe cosa fosse accaduto realmente. Un sogno? Un ricordo sforzato? No, sentiva che era tutto reale ma fin troppo doloroso da tenere a mente.

Cosa si aspettava? Nulla, non cercava nessun tipo regalo e se quell'unico ricordo era il più bello che avesse, be', era molto per lui.

<< Non sorprenderti. Non era importante dopotutto.>> pensò il riccio perdendosi nel dimenticare per qualche secondo la propria canzone non scritta, con le spalle appoggiate a quella sedia tremula e col viso all'insù al soffitto, a quell'incontro tanto bello tanto quanto strano con gli occhi umidi e con un nodo stretto alla bocca dello stomaco ignorandolo del tutto perché restio mandare giù qualcosa di solido e che potesse rinvigorirlo e dargli quelle forze che gli servivano.

Un brivido freddo gli percorse la schiena e con gli occhi ora lucidi il moro scosse la testa.

<< Hai sbagliato Erm. Hai sbagliato tutto quanto. >>.

E quando le lacrime scivolarono fu solo capace di portarsi le dita ai lati del viso, appoggiare le braccia alla scrivania e lasciarsi cullare dai singhiozzi e dalle lacrime.

Dicembre || Ermal x FabrizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora