39 - LA LICANTROPIA DI DENNIS DONOVAN

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DIARIO DI DENNIS DONOVAN

Dopo cena, Lucy lasciò il monolocale prima del previsto, insistendo sul fatto che i suoi genitori, allarmati dagli ultimi eventi in paese, pretendevano che lei e le sue sorelle rincasassero il prima possibile. Questo filo in sospeso con Lucy mi faceva impazzire, quindi presi dei calmanti che mi aveva prescritto la psichiatra e andai a letto. La notte avevo il terrore di lasciarmi andare al sonno, poiché mi sembrava di piombare in una dimensione dalla quale non riuscivo a trovare via d'uscita. Un incubo infinito che ogni notte tornava a reclamarmi. Il mio corpo sembrava posseduto da forze invisibili che lo spingevano a correre libero in preda all'istinto, mentre la mente veniva assediata da pensieri orribili che non mi appartenevano veramente. Scrutai tutto intorno e capii di trovarmi nella foresta, ma non avevo la più pallida idea di come ci fossi finito. Sentii le mie ossa animarsi, contorcersi, spezzarsi e poi ricomporsi, mentre un ululato agghiacciante fuoriusciva involontario da quella che un tempo era stata la mia bocca umana. Cos'ero diventato? Aiuto...! Qualcuno mi aiuti...! Continuavo a pensare tra me e me, ma ero rimasto solo e in balìa di un me stesso che non conoscevo. Inoltre le scene di sesso mi perseguitavano. D'ovunque mi girassi vedevo corpi avvinghiati, bocche che si baciavano, arti che si intrecciavano. Orge folli che tentavano di far diventare folle anche me. Così, corsi e corsi e corsi per chilometri. Le mie gambe, un tempo umane, sembravano adesso poter andare veloci quanto le macchine e allora mi diressi verso l'oceano. Ebbi il coraggio di avvicinarmi alla strada solo quando la stanchezza aveva ormai fatto sentire la sua presenza, poiché questo era l'unico modo che avevo per proteggere gli umani dal mostro che ero diventato. Acquattato tra gli alberi, assistetti involontariamente alla scena di un raduno di macchine di coppiette e proprio sotto a i miei occhi, una delle macchine tagliò per scherzo la strada a una ragazza con la bicicletta, facendola cadere al suolo e spaventandola.

"Dove vai a quest'ora di sera? Torna a casa dalla mamma?" la canzonarono

"Siete solo dei teppistelli stupidi...!"

sbraitò lei rialzandosi da terra, mentre un'altra ragazza alta e longilinea, scendeva da una macchina rossa per ridere della povera biciclettaia. Qualcosa in quest'ultima, però, attirò la mia attenzione in modo particolare. Non sapevo esattamente cosa...! Forse il suo sguardo...? Sì, doveva essere stato il suo sguardo al Kajal e cielo tenebroso, altero e provocante, vanitoso ed arrogante, che a tratti lasciava trasparire un'anomala bontà d'animo terribilmente stridente con tutto il resto ad irretire i miei sensi.

"Com'è possibile?" mi domandai

"Vai via...! qui è pericoloso. Noi siamo tutti fidanzati..." rimbeccò alla biciclettaia, la quale si allontanò in lacrime.

"Perché non andiamo alla baia? Voglio fare sesso..." disse poi rivolta al fidanzato

"Certo..." rispose l'altro

Così, seguii la loro macchina fino alla scogliera dove posteggiarono per appartarsi e amoreggiare, ma proprio lì, aspettai quieto il momento giusto.

"Ho sentito un rumore strano..." disse un tratto lei

"Non è niente! Togliti la maglietta..."

"Sei sicuro?"

"Certo!"

Cominciai allora a dare zampate contro la macchina che in confronto alla mia forza sembrava essere fatta di cartone.

"Oddio! Cos'è?" urlò la ragazza

Fu semplice aprire la portiera del passeggero e farla scendere, per poi azzannare un morso al braccio del ragazzo, e infine, lanciare l'auto dalla scogliera con lui dentro.

Quando fummo finalmente soli, la bloccai a terra e la strinsi afferrandole le gambe per portarmele intorno alla vita.

"Che c'è? Non ti ecciti più adesso..." comunicai col pensiero

"Ti avevo sognato! Prendimi..." svenne

" svenne

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