Capitolo 25

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Eve

Distesi lentamente le braccia ancora con gli occhi chiusi e mormorai in segno di apprezzamento per il comodo letto che mi avvolgeva.

E dire che me lo ricordavo molto più scomodo, piatto e obsoleto.

Stropicciai gli occhi e mi misi seduta sorridendo. Osservai l'ambiente intorno. Dove cavolo ero?

Il mio sorriso morì sul nascere e con più attenzione guardai l'intera stanza, come un fulmine mi passò per la mente ricordandomi della sera precedente, di Greice, il locale, gli alcolici e poi un vuoto.

Mi scoprì dal lenzuolo bianco e con sollievo notai che ero vestita ma indossavo una maglietta che emanava un profumo inebriante.

«Non può essere.» Mormorai alzandomi in punta di piedi dal letto.

Mi passai una mano sulla nuca sentendo delle improvvise vertigini e una sensazione pressante nello stomaco.

Non ero a casa mia, non ero a casa di Greice perché la maglietta era maschile e l'arredamento lasciava intuire altro. Vidi una porta bianca vicino a un mobile in mogano e mi precipitai aprendola, scoprendo così il bagno.

Il fatto che trovai colonia, profumo prettamente maschile e prodotti per la barba avvalorò la mia tesi.

Richiusi di scatto la porta ed optai per l'altra davanti a me, quella volta, però, fui più cauta. Uscì in punta di piedi e mi ritrovai in un lungo corridoio.

Guardandomi intorno vidi le scale che probabilmente portavano al piano precedente e con attenzione scesi lentamente. Arrivai in uno spazio aperto e iniziai a curiosare intorno finché un biglietto sulla penisola della cucina affiancato da una colazione che prometteva bene mi saltò all'occhio.

Mi sedetti su uno sgabello e aprì il biglietto di carta bianca.

Buongiorno, Eve.
Sarai felice di ritrovarti nella casa del detective che odi tanto. Ti ho lasciato qualcosa da mangiare e un'aspirina, prendila.

Richiusi il biglietto e mi venne da urlare per lo sconforto. Cosa diavolo ci facevo nella casa di Jake?

Iniziai a ricordare vagamente qualche spezzone della serata precedente e ciò che mi ricordai mi fece sospirare al pensiero che non avevamo fatto nulla di compromettente.

«Bene, Eve. Ci mancava pure questa.» Bisbigliai.

Rabbrividì quando mi resi conto che in quel preciso istante dovevo essere in ufficio. «Maledizione!» Gridai.

Iniziai a correre per la casa in cerca del mio vestito e lo indossai di fretta per poi raccattare le scarpe. Il tutto mentre imprecavo come una matta.

Mi assicurai di non averlo lasciato nulla fuori posto per poi scappare fuori. Chiamai rapidamente un taxi e impaziente aspettai.

Il mio umore diventò turbolento e controllavo ogni secondo l'orologio al polso, dopo un tempo che mi parve infinito arrivò il taxi e mi precipitai nel mio appartamento per darmi una veloce sistemata.

Chiamai Greice mentre mi allacciavo le décolleté nere. «Pronto?» Rispose.

«Greice, il capo è arrivato?» Chiesi diretta.

«Tra . . . circa, un quarto d'ora dovrebbe essere in ufficio. Dove sei?» Finì con un rimprovero velato.

«Non c'è tempo per spiegare, te lo dirò quando sarò lì!» Dissi per riattaccare.

Schizzai fuori dall'appartamento e guidai fino all'imponente edificio. Salì le scale di fretta, salutai le guardie all'entrata con un breve cenno e mi diressi nell'ascensore che stava per chiudersi. «Un momento!» Esclamai disperata.

Una gamba bloccò di scatto la chiusura delle porte ed entrai sospirando.

«Grazie, lei non sa -» Esclamai ridacchiando, le parole mi morirono in gola appena mi girai e vidi che si trattava non altro che del mio capo. Sarei morta.

«Signorina Roberts, sta bene?» Esclamò vedendo la mia espressione scioccata e in preda ad un infarto.

Mi risvegliai dal mio stato di trance ed iniziai a ridere convulsamente. «Certo, signor Jones! Sa, è alquanto buffo. Sono in ritardo per un valido motivo.» Esclamai alzando l'indice per enfatizzare le mie parole.

Mi guardò con un'espressione leggermente frastornata e probabilmente si chiese: perché sta spiegando qualcosa che io non le ho chiesto?, ma in quel momento ero troppo ansiosa per capire quanto fossi ridicola.

«Purtroppo ieri sera mi è morto il telefono e questa mattina la sveglia non ha suonato. Mi sono svegliata grazie a . . . al mio gatto.» Finì ridacchiando. Che cavolo ho detto?. Mi chiesi subito dopo.

IL RICHIAMO DELLA ROSADove le storie prendono vita. Scoprilo ora