Raccolsi l'ultimo briciolo di dignità rimanente e sgattaiolai via.
«Bene, Eve. Sei riuscita a fare un danno anche stavolta!» Mi rimproverai da sola.
Picchiettai con furia le décolleté sul marciapiede, sperando di arrivare presto ad un taxi per poter tornare alla mia auto. Sgranai gli occhi appena ne vedi uno e feci subito cenno in modo che si fermasse.
Il tassista continuava a lanciarmi occhiate dallo specchietto retrovisore che non facevano altro che mettermi ansia, la bile saliva e scendeva continuamente nella mia gola mentre mi tenevo con fermezza l'orlo del vestito con una mano. Continuai ad evitare le sue occhiate sperando che bastasse per farlo desistere.
Appena notai la mia auto mi affrettai a scendere ringraziando, quasi correndo via e tirai un sospiro di sollievo.
Mi fermai davanti ad un minimarket ed entrai cercando qualcosa da sgranocchiare per riempire la giornata di solitudine che mi ero programmata.
Venni spinta e caddi nel bel mezzo del minimarket col sedere dolorante.
«Ai, ma che cavolo-» Gridai ma la mia voce si paralizzò appena vidi un ragazzo niente male di fronte a me scrutarmi preoccupato.
Quel che però mi fece gelare furono i suoi occhi, rossi.
Strizzò gli occhi e pose una mano sopra di essi per poi puntarli nuovamente su di me. «Stai bene?» Esclamò abbassandosi alla mia altezza.
«Io, tu - credo di sì.» Balbettai ancora scioccata.
«Io, insomma . . . ho visto i tuoi occhi, hai le lenti a contatto?» Continuai senza riuscire a tenere a freno la mia lingua.
Lo vidi impallidire e deglutire allo stesso tempo. «Esattamente.» Rispose tossendo.
Mi alzai grazie alla sua mano e qualcosa nella mia testa mi diceva che era una bugia. Quelle non erano lenti a contatto. Qualcosa però mi invogliava nel voler credere che non c'era nulla di anomalo, speravo.
Rinchiusa nei miei pensieri non notai il ragazzo che si volatilizzò, mi guardai intorno ma nulla. Sospirai, probabilmente, ero solamente stanca. Presi delle patatine al bacon, pagai e mi affrettai per tornare nel mio appartamento.
Il pensiero di ciò che avevo visto continuava a tormentarmi e ad ogni minimo rumore sobbalzavo allarmata, infilai la chiave di fretta nella toppa della porta ed entrai. Mi appoggiai alla porta sospirando, mi resi conto che ero al sicuro, anche se non capivo bene da chi o da cosa.
Portai una mano sulla testa premendola con forza sperando che quella sensazione di pesantezza sul mio petto e i mille pensieri andassero via ma nulla da fare, la mia mente cercava risposte. Il mio subconscio chiedeva di sapere e di nutrirsi di informazioni.
Agguantai il telefono dalla borsa e fissai il numero di Jake sul display.
No, non l'avrei chiamato.
Mi avrebbe associata ad una pazza solo dicendogli quello che avevo visto.
Posai il telefono sul mobile in legno e mi diressi nella cucina con l'intento di riempire il vuoto che sentivo nello stomaco da ore. Preparai delle uova strapazzate, bacon e pane tostato, prima di buttarmi sul divano presi dalla busta della spesa anche le patatine.
Feci zapping nei canali e mi fermai su un canale dove stavano trasmettendo un programma televisivo basato su talenti nascosti con una giuria.
Il campanello che suonò mi fece distogliere l'attenzione dalla televisione e mi alzai controvoglia.
«Ciao, mi serbirebbe un bo' di zuccchero.» Sputacchiò il mio vicino con i schifosi nachos in bocca, una busta in mano e nell'altra un bicchiere di carta vuoto.
«Aspetta qui.» Lo ammonì.
Afferrai con rabbia il bicchiere e gli versai quel maledetto zucchero per poi porgerglielo.
«Grabie, Clarence.»
Sbuffai, come era possibile che dopo tanti anni quell'uomo ancora non si ricordasse il mio nome. «Il mio nome è Eve, buona serata.»
Chiusi rapidamente la porta per evitare che rispondesse e tornai al mio programma televisivo con un diavolo per capello.

STAI LEGGENDO
IL RICHIAMO DELLA ROSA
ChickLitJake Jones è il detective più ambito del Massachusetts: scapolo impenitente, con un aspetto che non passa inosservato e un carattere tanto arrogante quanto magnetico. Con la sua camicia bianca che mette in risalto la sua mascolinità, sembra sempre i...