Capitolo 4

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Da quel battibecco con Firdaus al Tequila House, lo evitavo come la peste, ma non era così semplice con dei fratelli dalle strazianti sembianze di due groupie al concerto dell'idolo. Non era così semplice se l'idolo era lui.

Infatti, quel giorno, Nathan aveva invitato Firdaus nella nostra villa per giocare una partita di pugilato, perché era spuntato fuori che Firdaus fosse un autentico fuoriclasse in quello sport di gente pazza che si menava senza speciali motivazioni. Chissà perché.

«Rendi!» Nathan gridò il mio nome dalla palestra.

Se fosse stato per me, non li avrei raggiunti, ma mia madre si trovava proprio di fronte a me, appollaiata resupina sulla sua bozzoluta dormeuse e subito mi costrinse a correre da Nathan.

«Che vuo-» Ma mi interruppi. Se ne stavano entrambi senza uno straccio di maglietta, sudati, con due facce da fanatici.

Nathan non parve disposto a mettersi qualcosa addosso. Del resto, ero sua sorella, che si comportasse bene con me era un inutile optional.

Anche Firdaus preferì rimanersene nudo. Non sapevo che fosse messo così bene, ma per qualche irrisoria ragione lo avevo immaginato.

Il suo torace impreziosito di tutta una sconfinata varietà di sporgenze e rientranze doveva essere appartenuto a una divinità nella sua vita precedente.

«Che schifo. Copritevi.» Chiusi la porta.

Nathan si spazientì. «Rendi, apri. Se ti ho chiamata, è perché ci servi.»

«Non entro se non vi mettete qualcosa.»

«Oh, non ci credo. Dici sul serio?»

Ma poco dopo, prendendo atto del fatto che non accennavo a smuovermi dalla mia posizione, sentii loro cacciare versi increduli e dissenzienti, poi rivestirsi con due maglie.

«Okay, adesso puoi aprire,» annunciò mio fratello con tono tetro.

«Che volete?» Non erano poi così coperti ma me lo feci bastare.

«Gli analgesici sono lì,» indicai un mobiletto alle spalle di Nathan. «Le garze e i rocchetti di cerotti sono lì,» indicai le spalle di Firdaus. «E i toast e le bevande sono di là,» indicai le mie spalle.

«Grazie, Rendi, che gentile,» Nathan per poco non mi prese a testate. «Adesso sta' buona e facci da arbitro.»

«Che fa un arbitro?»

Firdaus lanciò la testa all'indietro esasperato. Adesso stavano esagerando.

Stavo appunto per far notare che, se a loro non fosse andata giù la mia più che giustificabile ignoranza nel solo ambito in cui avrebbero mai potuto contendersela con una mente come la mia, ebbene, se a loro non fosse andata giù la tale cosa, non avrei avuto alcun problema a dileguarmi.

Ma poi Firdaus raddrizzò la testa. E contrasse la mandibola. Il muscolo parve un filo che partì dall'osso, percorse la guancia e finì in corrispondenza dell'occhio.

«Ogni tre minuti dici Stop. Se in questi tre minuti uno dei due butta giù l'altro, conti fino a dieci. Se l'altro si rialza prima del dieci, tutto a posto; altrimenti, dici di nuovo Stop.»

«Sembra divertente.» Ovviamente, scherzavo.

Per tutta l'ora successiva, assistetti ad ogni genere di vessazione e cercai quattro o cinque volte di scappare via.

Sarei sempre rimasta traumatizzata da quello schifoso siparietto.

Se le davano di santa ragione, ringhiando e rosseggiando. Poi, venivano le parti peggiori, dove Firdaus buttava a terra mio fratello e lo schiacciava bocconi sulle tipiche stuoie di burattatura delle palestre.

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