Capitolo 17

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Di sabato, invitai Malcolm a cena approfittando della vacanza del finesettimana dei miei genitori, dunque della loro assenza prolungata fino al lunedì. Mi feci preparare le più deliziose pietanze che sapesse tirare fuori la capace governante nonché mia vecchia tata Lottie Kovalevsky. Infine indossai l'abito migliore che mi riuscì di scovare dalla cabina, un tubino senza bretelle versione classica, nero e attillato, tenendo in considerazione anzitutto la natura informale di quel rendez-vous.

Appena sentii trillare il campanello dell'ingresso, mi precipitai ad aprire, tuttavia arrivata a metà scala Lottie mi batté sul tempo e in men che non si dica Malcolm si annunziò con un copioso mazzo di fiori in una mano e nell'altra il collo di una bottiglia dall'aspetto costoso. Lottie prese entrambi e si dileguò in cucina.

«Sei splendida,» si complimentò con voce arrochita Malcolm. «E se non si fosse capito, quei fiori erano per te.»

«E la bottiglia per chi era?»

«Non ho dimenticato che non bevi,» ribatté, legandomi le braccia intorno ai fianchi, «ma dovresti fare uno strappo alla regola, Rendi. Questa ha tutta l'aria di essere una serata speciale.»

Davvero aveva quell'aria là? Non me l'ero chiesto fino a quel momento. Quando Sydney mi aveva spronata a preparare una sorpresa per Malcolm, non aveva menzionato che la sorpresa potesse per certi versi evolversi a un regalo importantissimo, segreto, da averne cura accattivandoselo con ogni espediente, tipo la mia sensazionale verginità.

Ci accomodammo alla tavola. Lottie tornò con la bottiglia stappata in un marinesco secchiello portaghiaccio di alluminio pressofuso e un piatto centrale di squisiti antipasti. Malcolm mi versò il vino nel calice nello stesso momento in cui Lottie mi versò dell'acqua nel bicchiere. Scelsi Lottie.

«Non vuoi provare che prelibatezza? Questo me l'ha mandato un mio amico francese che vive a dieci minuti di macchina dalla Colline du Château.»

«Wow, figo,» mi sforzai di assaggiarne un goccio, ma vuoi l'astemia, vuoi l'avversione per i vini rossi, riuscii ad ingoiarne a malapena qualche goccio. Mi complimentai comunque della buona qualità.

Nel bel mezzo della cena, Malcolm si alzò dal suo posto e spostò la sedia di modo che ci trovassimo accostati, non più di fronte, se non proprio appiccicati l'uno all'altra. La sensazione di vicinanza avrebbe dovuto scatenare uno speciale effetto nella mia pancia? No, non per forza. Ad ogni buon conto, ero felice che seduto accanto a me ci fosse un ragazzo radioso e cavalleresco come Malcolm.

Be', in realtà radioso sì, ma cavalleresco un po' meno se continuava ad allungare la mano ogni due per tre. Era giusto che mi sentissi addosso un certo ufficio di stare zitta dopo quello che avevo sperimentato con Firdaus qualche giorno prima? A torto o ragione quel tale senso di colpa mi bloccava a forza dal fermare le dita curiose di Malcolm che sempre più stavano agitandosi tra le mie gambe.

Quando Lottie tornò per sparecchiare dopo il dessert, colsi l'occasione di alzarmi in piedi, stufa di farmi pizzicare nell'interno coscia (forse era un gesto che in genere illanguidiva?) «Perché non ci spostiamo sul divano?»

«Sì, certo,» Malcolm mostrò uno spietato sorrisone per quella proposta. Che intendeva fare? Io desideravo solo guardare L'età dell'innocenza di Scorsese e poi congedarlo con la promessa che ci saremmo rivisti all'università.

Accomodati sul divano, appena messo il film, Malcolm rise delle «frignate da femmina» di Newland e per me fu un duro colpo al cuore: io ero una patita sfegatata di quel personaggio. Più tardi, senza consentirmi di gustarmi l'entrata in scena di una giovanissima Winona Ryder, mi legò un braccio attorno alle spalle e mi tirò a sé ottenendo solo, e forse neanche, che la mia faccia gli comprimesse il petto.

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