Capitolo 21

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Lo scroscio della pioggia inseguiva me e i miei genitori all'interno della sala eventi dove si sarebbe tenuta una spettacolosa mostra finanziata da Terence, mecenate a tempo perso. Numerosi quadri di artisti emergenti di eccezionale levatura artistica erano esibiti assieme a quelli dei classici professionisti nazionali, caratterizzati da fazioni avverse, alcuni addirittura frutto di antiche raccolte numismatiche; e vi facevano ressa tutt'attorno periti d'arte, collezionisti e hobbisti di chiara fama.

Terence era stipato fra questi, trattenuto da una parte all'altra, nel suo frac sciancrato in mohair, insuperbito dalle tasche con pattine e le scarpe stringate in pelle spazzolata. Appena si avvide della presenza di mio padre, snobbò la crocchia di aficionados che lo serrava e si avvicinò di volata per riceverci.

«Gladys, sei arrivato tu ed è venuto a piovere,» rise con mamma della sua battutaccia indicandoci le finestre su cui andava condensandosi il freddo notturno. «Perché non te ne torni a casa, amico? A me basta Brigitte. A proposito, come sei bella questa sera, cara.»

Gladys provocato nel profondo non solo dal monito a rincasarsene ma soprattutto dalle avances a sua moglie si fece rosso di stizza e per poco non inveì contro l'amico. «Sei incorreggibile, Terence. Prima o poi mi farai perdere le staffe.»

«Tesoro, dai,» mia madre lo redarguì con un sorriso sinistro. Solo lei era capace di farlo. «Oh, quasi dimenticavo... Terence,» si rivolse all'uomo che non aveva ancora smesso di canzonare papà, lanciandogli pacche amichevoli sul cervelletto, faceto. «Ho portato anche Miranda, spero non ti dispiacerà. È una connaisseuse in gamba.» Diciamo che me la cavavo.

Terence s'allumò alla mia vista, almeno questo, e con il braccio messo di novanta gradi dietro la schiena s'inchinò a farmi un baciamano.

«Che sorpresa meravigliosa. Per me avreste potuto portare anche Nathan e Sebastien.»

«Non ci abbiamo pensato,» tagliò corto mamma. «Perché non ci mostri un po' le mosche bianche del settore?»

«Certo, certo, venite,» Terence scortò i due alla larga come un perfetto padrone di casa. In un attimo, tutt'e tre scansarono i miei occhi che senza troppo entusiasmo li ricercarono tra le folle non trovandovi che uomini benvestiti, cornici tirate a lustro e vassoi ricolmi.

Mi accostai ai quadri sovrappensiero, vestita con un tailleur sfiancato e una pashmina che mi ricopriva sia collo che scollatura, infatti benché l'ambiente fosse riscaldato rimanevo un'incondizionata freddolosa. La collezione di opere faceva bella mostra di sé sulla parete con una targhetta dabbasso riportante il titolo con l'artista e talvolta anche la data.

Mi abbracciavo facendo presa sui gomiti e accarezzavo con fare scrutatore le manifestazioni artistiche ascese dai faretti di posizione.

C'era un'opera senza firma che catturava la mia attenzione in modo particolare.

Ritraeva una creatura maschile a metà tra un bambino e un serafino prostrato in ginocchio con un uomo addietro che spezzava le sue ali strappandogliele dalla carne. La cosa più inquietante era che il bambino osservava me. E aveva occhi a mandorla già visti da qualche parte.

Gli occhi a mandorla di...

«Ti piace ragazza?»

Sobbalzai tachicardica al suono del timbro rauco di Firdaus alle mie spalle. Mi voltai verso la sua figura esotica, odiavo che fosse così bella.

Di ben una testa Firdaus sopravanzava per altezza tutti i presenti.

Fresco di doccia, con la chioma ricciuta ancora inumidita, indossava baggy jeans e una blouson marrone cuoio serrata a incastro fino al colletto alla coreana, corto quel tanto che bastava per intravedervi al di sotto il risvolto di un bavero: doveva calzare una camicia che non avrebbe mostrato se non fosse stato Terence a farne menzione.

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