Capitolo 19

1.6K 69 23
                                    




Alla fine, ci accordammo per pranzare a casa con Sebastien, che chiese una mano a Firdaus per delle nozioni matematiche e dirigerci al quartiere di pomeriggio, sul tardi.

Era sorprendente come Bed-Stuy prendesse a pugni qualsiasi speranza di gentrificazione.

Avevano costruito sui due fronti del suo vecchio palazzo residenziale altri tre edifici ad uso locazione ciascuno di colorazione differente; questo conferiva al primo l'aspetto di una fogliolina d'insalata tra due fette di sandwich.

Si trovava fra la Spencer e la DeKalb Avenue, a poche decine di metri dalla fermata Bedford-Nostrand Avs. Di fronte c'era un locale di gestione edilizia che provvedeva teoricamente allo sviluppo dei distretti newyorkesi più malfamati. Solo teoricamente, però.

Le bandiere portoricane se ne stavano spenzolanti dagli assiti delle tettoie, le scarpe appese ai lampioni, le provocazioni anarchiche scribacchiate sulle saracinesche. Alcuni uomini incappucciati dormivano appoggiati agli idranti. A tre block di distanza si stava svolgendo una retata.

Firdaus abitava al secondo piano. Non aveva ristrutturato il suo appartamento. Al contrario, dopo che era stato informato tre anni prima che nel frattempo nessuno vi aveva abitato, aveva scelto di lasciare intatti la disposizione dell'ammobiliato, la marcescenza delle mura, il buco di cartongesso sul disimpegno della stessa forma del suo pugno.

La casa era stretta, composta solo da due camere da letto, i servizi e un cucinotto, con un minuto bugigattolo per riporvi scatolame di stoccaggio, sempre se erano fortunati a sufficienza da averne.

Eravamo nella sua camera. Gli era stata rubata la rete e così c'era solo la materassa per terra, bucherellata qua e là, bozzoluta, che prendeva polvere. Stavamo affacciati alla finestra.

Firdaus era convinto di capire una persona dal solo modo in cui teneva la sigaretta. Per questo non mi avrebbe mai capita.

Era proteso verso il davanzale con lo sguardo rivolto alla strada, i suoi capelli splendevano di un nero brunastro scintillante, là dove vi picchiava la luce diurna, tremolante nella semioscurità della camera, e le scapole larghe si contraevano sotto la maglietta allargandone la trama fina, stendendola fino a farvi intravvedere i muscoli dorsali al di sotto.

«Quella che tipo è?» Additai una signora seduta su una panca; fumava tenendo il mozzicone con due mani, ciascuna delle quali lo reggeva come se volesse farlo scivolare nell'altra.

Le diede una sbirciata da sottinsù. «Questo manierismo tipicamente femminile denota dell'insicurezza. Teme di perdere la presa della sigaretta, così la sostiene con due mani, ma al tempo stesso non è decisa, non sceglie a chi darla. Probabilmente è quel tipo di donna che si fa mettere i piedi in testa da un uomo che neanche le piace. O che non le piace abbastanza.»

«E quel tizio?» Un uomo con il cappello da cowboy rideva sguaiato tra sé e sé seminascosto dietro a un colletto blu che bisticciava al cellulare, e fumava tenendo la cicca fra pollice e indice e il tronco verso l'interno della palma.

«Lo zio preferito che viene dal Texas. Uno scapolo d'oro.»

«E quello che litiga al telefonino?» Aveva appena preso un pacchetto di Chesterfield.

«Un individuo molto teso, schietto, incline alla presupponenza.»

«Okay, ci provo io,» tirai un bel sospiro, poi indicai Firdaus, che fumava accanto a me. «Questo ragazzo è calcolatore, audace, un tipo di uomo a cui piace giocare col fuoco. Un po' strambo, sempre via per la tangente. Deve essere uno stronzo.»

Firdaus sorrise fissando il mio dito. «Forse hai ragione.»

Si addrizzò levando i gomiti dal cornicione della finestra, fece un tiro poi spostò la sigaretta dalle sue labbra, conscio che non mi piacesse ispirare aria cattiva, quindi si chinò manifestatamente perché non mi spezzassi il collo nell'osservarlo in viso.

Glimpse of usDove le storie prendono vita. Scoprilo ora