Capitolo 11

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Verso mezzanotte e qualcosa, Firdaus si fermò a dormire da noi e anche due ragazze che in macchina sedevano l'una su di lui e l'altra su Nathan. Mio padre e mia madre sbatterono tutt'e cinque (perché anche Sebastien?) in dépendance. «Non voglio sentire nemmeno un sussurro di vento,» disse latrando la regina Prescott. «E precauzioni senza fine.»

La ragazza che quella sera avrebbe riscaldato il talamo matrimoniale in preziose lenzuola in raso rosso di Nathan sembrava voler riscaldare a tutti i costi quello di Firdaus, il quale al contrario andava scacciandola come la peste così che non si comportasse male col suo amico, ignorando che mio fratello la mattina dopo si sarebbe svegliato in hangover e avrebbe dimenticati perfino i suoi dati anagrafici.

Quella che si era preso lui e che non andava affatto scacciando era una certa Emily, di poche parole e di molte lappate sul collo. Indossava una deliziosa bralette sbrilluccicante di zirconi che le lasciava ignude la schiena e la pancia.

Le avevo chiesto di farmi un po' di spazio in macchina e lei vi aveva colto il pretesto per mettersi su Firdaus (il che, per carità, non era affar mio) e con quel gesto aveva ispirato l'amica inducendola a sedersi su Nathan (quello, ahimè, era assolutamente affar mio.)

Quando arrivammo in villa, mia madre scese, i cinque scomparvero, e mio padre, rivolto verso di me con tutto il corpo, curvo di qualche centimetro perché potesse sembrare un po' meno minaccioso, ordinò: «Rendi, devi assolutamente dare una controllatina a quei ragazzi. L'ultima volta che Nathan ha usato la dépendance ho dovuto raccogliere i preservativi e buttarli prima che arrivassero i domestici.»

«Non ho capito, vuoi che li raccolga e li butti io?»

«No, o magari sì, mentre dormono...» Mio padre si perse in ragionamenti contorti. «Ad ogni buon conto, dà una controllatina. Soprattutto fa' attenzione che non rompano i vasi di ceramica marsigliese di tua nonna materna Marine che ha una sorta di telepatia con quelli, credimi. Potrebbe venire da Yvelines e picchiarci.»

Mi presi il pigiama e me ne andai in dépendance. Sarebbe stata una notte infernale. Come prima cosa, ovviamente, mi chiusi più velocemente possibile in una camera, stando attenta che nessuno disturbasse la mia facciata di noncuranza. In realtà, eccome se mi interessava non udire volgarità e urla strozzate a una spanna da me intanto che tentavo di abbracciare il sonno.

Potevo correre da Sebastien e chiedergli cortesemente se il lavoro sporco di controllare che non facessero casini vari poteva sobbarcarselo lui, tuttavia mio fratello non riusciva neppure a tenere gli occhi aperti da quanto sciampagna si era bevuto al ricevimento.

Mi feci una doccia, indossai un leggero pigiamino merlettato appena sotto al seno, infine eccomi resupina sul letto ad ammirare l'imbiancatura del soffitto. Era perfetta.

A un certo punto, sobbalzando dalla paura, mi accorsi che si sentivano rumori sospetti. Più tardi, i rumori sospetti divennero gemiti assodati, i gemiti urla animalesche, le urla animalesche bussate tra parete e testata del letto, le bussate picchi contro il parquet, i picchi clap di mani. I clap di mani infatti me li lanciavo da sola sulle orecchie cercando di assordarmi.

Quello o era Nathan o era Firdaus, ma potevano anch'essere tutt'e due con le loro rispettive donzelle a confondersi i ruoli in un fragoroso saturnale.

In ogni caso, non mi interessava chi e quanti ci fossero là dentro, avevo un compito cui attendere e l'avrei preso sul serio. Battei quattro pugni contro la parete divisoria perché sentissero che c'era qualcuno intenzionato a dormire proprio nella camera accanto.

Non contenta, perché difatti non ero stata ascoltata minimamente, presi una sedia e la lanciai contro il muro provocando un tonfo sordo. Qualunque coppia si trovasse dall'altra parte smise di fare la gnorri e si decise ad ammansirsi.

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