Capitolo 28

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"In the back of my mind

You died

I killed you. "

Firdaus' pov

Il cielo quella notte mi assomigliava: confuso, triste e spaventoso. Presi la metro non avendo voglia di guidare o forse sapendo di non esserne in condizione (Avrei voluto che qualcuno potesse prestare attenzione a quella decisione, a quel pizzico di lucidità.)

Mi incamminavo verso la Bedford Avenue, poi entrai in uno speakeasy e mi diressi nello stanzino di bagno, verso gli orinatoi.

Mi fissai allo specchio. I miei occhi inferociti erano pieni di così tante scintille rosse che sembrava quasi stessi pisciando sangue dalle cornee senza riuscire a trattenermi. Era una brutta immagine, ma era vera.

Dovevano essere i farmaci.

In me momenti di creatività assoluta si accompagnavano a sensazioni confuse e indistinte, ad accessi di ansia, parossismi, e manie di persecuzione – e in tutte quelle stanze mi perdevo, come quella sera.

Talvolta, in certe occasioni più che in altre, senza un ordine o spesso una ragione, attraversavo quella specie di tunnel – la luce piccola in fondo al buio che più rincorrevo più si allontanava – cercando di arrivare alla fine e pregavo Dio di non farmene trovare un altro immediatamente successivo. Perché puntualmente sapevo di non poterne affrontare un altro, di non poter resistere oltre.

Non riuscivo a immaginarmi come un vecchio idiota, e non propriamente per l'idiozia ma per la sensazione onnipresente di nessun futuro. Di nessuna vita ancora per tanto. Non era disfattismo o sospetto suicida. Solo il pensiero razionale di una mente devastata come la mia.

Non volevo far preoccupare nessuno per me o per il mio stato mentale, prima di tutto perché non ero il fottuto affare di qualcun altro e poi perché non c'era niente di cui preoccuparsi: avevo vissuto attraversando questo tunnel ancora e ancora - probabilmente non ero più in grado di sopravvivere al di fuori. Nella giungla di una mente normale.

Una bella brunetta dai grossi seni rotondi varcò la porta – teoricamente, non avrebbe potuto entrare, perché quelli erano gli orinatoi, quindi il bagno era per i maschi, ma doveva avermi seguito fin lì per uno scopo piacevole – e mi divorò con gli occhi.

Il tipico sguardo ipnotizzato che finiva per indurre anche me a osservarmi.

E così feci. Un'altra volta, con occhi diversi. Sapevo di essere davvero bello, come un narcisista sa che sta abusando e rovinando qualcun altro, non solo sé stesso.

Se una gran bella faccia talvolta mi aiutava a trarre dei vantaggi, tipo trattare una signorina come la peggio ragazzaccia delle stazioni di servizio, la stessa faccia non poteva salvare la mia mente dall'oscuramento, anzi mi metteva nella posizione di capire quanto prendessi in giro le persone con quell'aspetto.

E poi ci fu un momento in cui mi osservai in una prospettiva speculare allo specchio, mentre la ragazza era dietro di me, e pensai che mi sarebbe piaciuto scopare qualcuno, costringerlo a farmi un pompino e poi scopare un'altra volta, o semplicemente rompergli il cuore in milioni di pezzi e cercare in ognuno di essi uno scorcio del mio, uno intatto.

Quindi le dissi solo: «Niente trattamento speciale per te. Capito?» poi mi avvicinai, la lanciai sul lavandino e le tirai giù la gonna mentre lei mi sbottonava i pantaloni. Allora, entrai dentro quella topa di miele con una protezione.

La presi cercando di rimanere vigile, e per lo più presente a me stesso in quell'istante, ma la mia mente saltava come un trapezista in cerchio e semplicemente non riusciva ad arrestarsi su quel sesso selvaggio.

Glimpse of usDove le storie prendono vita. Scoprilo ora