Capitolo 22

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Oh, cavolo, ricavolo, riricavolo!

Dopo una settimana da quel sacrosanto bacio, la situazione era questa: nessuno era al corrente del mio stato mentale. Neanche io.

Lo avrei definito alla larga alterato: vivevo severe forme di autocommiserazione per essermi fatta abbindolare da una belva senza cuore, e al tempo stesso spaccati d'esuberanza di chi ambiva a stanarla una volta per tutte, la maledetta, talvolta rasentando pelo pelo la tronfiezza.

Inforcare il fucile, assicurarlo sulla spalla e andare a caccia di orsi, uno soprattutto, quello desideravo fare quando non educavo la mente a cattivi costumi come l'inattività e il compatimento.

«Rendi,» Sydney riscriveva parola per parola la mia indagine di Sociologia generale, avrei dovuto farne una nuova, «non è che hai più visto Firdaus? Io non lo becco dalla festa di Halloween.»

Oh, no, per favore. Niente Firdaus per un giorno. Almeno.

Eppure, dovevo essere sincera, per quanto mi riuscisse data la situazione compromettente, ovvio. «Sono andata a una mostra l'altro giorno, e c'era anche lui.»

Sydney s'illuminò smettendo improvvisamente di copiarmi la ricerca pari passo. «Sul serio? Perché non me l'hai detto?» Per fortuna, fece tante altre domande a tavoletta che surclassarono questa. «Stava con una ragazza? Ti ha domandato di me?»

«Non era accompagnato, mi pare,» rimasi vaga. «Non ci ho parlato molto.»

Alla faccia della sincerità, Miranda Maryvonne Marine Prescott!

«Che peccato, uff,» si mise a rumoreggiare con la penna a scatto. Clic Clac Clic Clac. «Vorrei così tanto riandarci a letto, sarebbe la buona volta che si innamora di me.»

Seminascosta nel bovindo, con tutto il busto appiattitovi sopra, le gambe sollevate lungo la parete antistante e la faccia rivolta di profilo al cortile, mi strappavo cucitura per cucitura la tenuta scamiciata da casa. In camera, suonava Girls just want to have fun.

When the workin' day is done, oh, girls just wanna have fun.

Sydney la canticchiava distrattamente.

Io, allora, non ce la feci più. «Sid, devo dirti una cosa.»

Lei annuì ma non smise di tamburellare le dita al ritmo di Cyndi Lauper. «Vuoi che abbassi il volume?»

«Sì, è importante,» mi posizionai seduta, rimpettendomi.

Sydney si parò frontale con una mezza torsione della sedia a sbalzo e s'attorcigliò una ciocca rossa di capelli attorno al dito. «Sputa.»

«Ecco,» seduta sullo scrimolo dell'ottomana con le gambe a penzoloni, avevo la postura del misfattore, così la chiamava mamma: mani in tasca e occhi rivolti al soffitto. «Non posso più tenermelo dentro.»

«Allora devi cacciarlo fuori, Rendi. Non lo stai ancora facendo.» Evidentemente, non aveva capito quanto per me fosse difficile ammetterlo, né quanto lo sarebbe stato per lei perdonarmi. Forse non l'avrebbe fatto. Ecco il primo ripensamento in arrivo.

«Si tratta di Firdaus.»

Dovevo informare Lottie di cambiarmi il tendaggio perché questo colore mandarancio stantio non mi piaceva molto, e di aiutarmi a fare spazio in libreria per esibirvi a bellavista i bestseller con l'amica cattiva e l'altra compassionevole.

S'entusiasmò solo a sentirne il nome. «Muoviti a parlare, Miranda.»

Tirai su le ginocchia e le piegai al petto pur continuando a osservarla. «Aspetta, sto trovando un modo carino per dirlo.» Ma non c'è.

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