"I don't care how long it takes
As long as I'm with you
I've got a smile on my face"
La stessa notte in cui salutai Allie prima che partisse per Morristown decisi di correre per la Jersey City. Volevo sfogare l'accesso di collera, l'indignazione, la tristezza, e correre era la maniera più sana per farlo.Non c'era nessuno con me.
Avvertivo le piante dei piedi sbattere tutte le volte che sfioravano il marciapiede e il vento accarezzarmi la nuca.
Svoltai sulla Washington Boulevard.
I lampioni emettevano a singhiozzo fasci di luce sullo stradone; i ristoranti abbassavano le saracinesche; alcuni pendolari con i manici delle ventiquattrore in pugno correvano verso la metro.
Anche io correvo. La soletta delle sneakers strisciava per terra.
Quella zona periferica di Jersey City era il retaggio terrestre dell'Inferno. Dio non c'era passato.
Mi strinsi nel giaccone verde scuro, sotto cui avevo calzato una felpa rossa dei Metallica. Faceva un freddo assurdo.
Chi mi aveva detto di correre a quell'ora, maledizione?
La mia chioma bionda veniva scrollata da un vento freddo.
Poi, a un certo punto, qualcosa mi tirò il braccio. Una mano, forse.
Mi girai poco prima di venire trascinata dentro un vicolo cieco dal diametro di una conduttura.
Mi aveva braccata un uomo non vecchio e non giovane. Era una via di mezzo in tutto e per tutto: aveva la vitiligine ma solo sulla parte destra del viso, il colore degli occhi di un verde mischiato all'azzurro, ed era magro ma abbastanza robusto da incutere paura.
Avvertivo le sistole sbattermi contro le vertebre.
Chi era? Che cosa voleva da me?
Lui mi pigiò una mano sulla bocca e mi disse: «non urlare o sarà peggio.»
Scossi la testa e presi a rantolare. Mi dibattevo con le braccia dure, come di cemento, protese in avanti, che deceleravano di prontezza ogni secondo di più. La paura mi intorpidiva.
Il tizio mi strinse i polsi e li inchiodò al muro. Ero posizionata come l'uomo vitruviano. Mi tolse la mano dalle labbra. Io stillai. Lui me la rimise e poi mi piantò una ginocchiata nello stomaco facendomi rovinare al suolo e contorcere.
Gli intravidi le gambe incurvate, conficcate al suolo. In un istante di disperazione, senza porre tempo in mezzo, cacciai i denti e li affondai nel suo femore.
Cominciò una vera e propria colluttazione. Il bastardo mi afferrò la nuca e mi appiattì la faccia contro le inferriate di un parapetto. Io mi agitai come una quaglia sotto il mirino pugnandolo fra le gambe. Lui diminuì la presa e indietreggiò appena. Si riprese il secondo dopo.
Questa volta, riconobbi una nota di tensione nel suo cipiglio. «Ti ho detto che devi stare ferma o ti ammazzo,» si lamentò.
Era assolutamente convincente mentre mi scuoteva di fronte la lama di un coltello a serramanico.
Era arrivato il mio momento di morire, la pagina finale della biografia. Quell'uomo mi avrebbe scuoiata come un vitello al mattatoio.
Mio padre mi diceva di non uscire da sola, di avvicinarmi alle folle, di non attraversare i vicoletti, di fare attenzione. Io gli rispondevo che era una mancanza di rispetto verso le donne mettermi il guinzaglio. E che era impossibile che accadesse a me.
A me?
No, cazzo.
Non sapevo come avrei reagito a un abuso. Probabilmente mi sarei legata alla caviglia un blocco di calce e mi sarei lanciata da uno strapiombo.
STAI LEGGENDO
Glimpse of us
RomanceAttenzione: Dark romance, se ne consiglia la lettura a un pubblico adulto. "Da morti, non si vive più. Ma da vivi si muore tante volte." * * * Carina, sdegnosa e matricola provetto della New York University, Miranda Prescott è una ragazza come le a...