Capitolo 6

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Mio padre non solo aveva ringraziato Terence perché suo figlio mi aveva salvata da un «tentato omicidio con finalità di vendita degli organi a paesi esteri,» insomma tentato omicidio che in realtà era "solo" tentato stupro.

Per me sarebbe stato peggio se mi avesse stuprata che se mi avesse uccisa, per inciso.

Da morti, non si vive più. Ma da vivi si muore tante volte.

Dicevo, non solo lo aveva ringraziato per l'intercessione del figlio, ma addirittura aveva invitato lui e Firdaus tre giorni nella nostra casa al lago. Non ne sarei uscita viva.

Però, una cosa per volta. Ora, ad esempio, mi stavo preparando per quella merdosa festa delle matricole cui non potevo rinunciare perché vi avrei presenziato con Malcolm Graham, non perché effettivamente anche io fossi una matricola, se non proprio una matricola doc dato che ero il fiore all'occhiello dei miei professori.

Avevo avvertito Nathan che suonate le nove avrebbe aperto la porta a Malcolm e che doveva cercare di mostrarsi il più affabile possibile.

Fu Nathan stesso ad accoglierlo mentre ero giù. Non sentii spari, minacce, grugniti da maschi alfa o rumori di spranghe, così fiera di mio fratello scesi giù agghindata a festa senza che ne fossi dell'umore. 

Malcolm appena mi vide si issò dal divano Chesterfield e mi ammirò da capo a piedi. Per l'evento avevo comprato un delizioso miniabito in scivoloso raso argento metallizzato, granulato un po' sulla superficie, con la schiena scoperta.

«Sei bellissima, Rendi,» mi sussurrò perché non potesse sentirlo mio fratello. Mi stava guardando anche lui, ma senza le intenzioni licenziose di Malcolm.

«Fa' attenzione,» mi redarguì Nathan, mentre uscivo. «Queste feste sono piene di arrappati.»

«Tu vieni, no?»

«Sì, dopo.»

In macchina, Malcolm con alcune sperimentazioni azzardate iniziò a vezzeggiarmi le gambe e ad insinuarsi nello spazietto fra l'una e l'altra, spazietto caldo e piuttosto vicino all'Inaccessibile Destinazione, spazietto equivalente allo spacco dove stava raccolto il bordino in raso argento del mio abito.

«Secondo me, dovresti tenere tutt'e due le mani sul volante,» valutai, mentre si avvicinava, «non ho mai visto una macchina con un assetto così rigido.»

Ostinato a non lasciarmi, sentenziò: «Una mano sul volante e l'altra qui.»

«E lo sterzo? È di piombo. Come riesci a fare le manovre? Ti ci vorrà tanta forza.»

«Ci riesco. Apri un po'...»

«Hai notato che le gomme non scivolano bene – lo senti, vero, questo "scrrr"?»

Lui rise, ma a quel punto portò entrambe le mani sul volante.

Arrivati alla festa, fui costretta a complimentarmi dell'organizzazione di Malcolm. Tutto era perfetto. 

Si teneva in uno spazioso speakeasy rimpiattato nel retro di un banco dei pregni, nella zona ovest dell'Union Avenue di Billyburg. Era chiaramente il solito ricettacolo nottambulo della giovane subcultura di bohémien.

Con un po' di sfortuna avresti potuto scovarvi anche qualche naziskin.

La musica era di qualità mista, cult ma senza personalità. Ovviavano al problema dei moderni menestrelli della Tisch School of Art che suonavano dal vivo pezzi alla Taylor Swift. 

Sydney mi venne incontro dal bagno. Favoloso vestito stretto rosso fiammeggiante, capelli alla sbarazzina e sul collo le brillava un gioiello con cammeo in jais. «Che ne pensi? Firdaus mi guarderà?»

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