Twentysix.

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«Sono esattamente due mesi e otto giorni da quando l'ho vista l'ultima volta, da quando ho sentito la sua voce per l'ultima volta, da quando l'ho abbracciata per l'ultima volta».

«Probabilmente se mi passasse un camion addosso, o finissi sotto un treno non sentirei la metà del dolore che provo ogni giorno da quel giorno».

«Probabilmente niente tornerà come prima, non sto vivendo la mia vita, sto semplicemente sopravvivendo alle giornate. Vivere è ben altro». Continuo.

«Cosa fai durante le tue giornate?».

«Dipende. Se devo andare all'accademia o devo studiare mi alzo, altrimenti resto a letto tutto il giorno al buio, senza vedere nessuno. Spesso non mi siedo neanche con la mia famiglia a pranzo e cena ma poi mi sento in colpa per averli lasciati e quindi vado». Rispondo.

«Mangi con loro?».

«No, mi siedo e basta ma credo sia inutile perché non sento nulla di quello che dicono, non per qualcosa semplicemente non mi concentro». Rispondo.

«Dopo che fai?».

«Torno in camera, nel mio letto al buio».

«Ti tagli spesso?».

«Si, molto. Voglio provare più dolore possibile per non sentire nulla». Ammetto.

«Mi sai dire cosa provi Charlie? Cosa ti senti?». Guardo il vuoto e aspetto alcuni secondi nel rispondere cercando le parole giuste.

«Quello che provo sono diverse cose, principalmente c'è il vuoto nel petto che va avanti da tanti anni ma adesso è molto più profondo e doloroso. Poi c'è molta pressione sempre sul petto, un bruciore in tutto lo stomaco. Mi sento un peso enorme sulle spalle che non mi fa camminare».

«Inoltre mi sento persa, senza più speranza, né voglia di fare qualcosa, né di parlare con qualcuno».

«Che mi dici delle tue passioni?».

«Disegno e faccio foto solo se ho qualche esame altrimenti non mi va di farlo, non ho più voglia».

«Amavi farlo».

«Quello che amo l'ho sempre perso, non vedo il senso di continuare».

«Peró sai che le persone che ami non vorrebbe questo».

«Già, sono sicura di aver deluso tutti, tutti loro».

«C'è una cosa a cui pensi costantemente?».

«Si». Rispondo.

«Ti va di dirmi cos'è Charlie?».

«Il suicidio». Ammetto.

Nella stanza cala il silenzio mentre il mio psichiatra scrive gli appunti del colloquio sul suo quaderno, mi limito a guardare fuori dalla finestra senza impegno, senza guardare un punto specifico, perdendomi ancora una volta nel vuoto. Dopo lui si alza e fa entrare mia madre che mi prende una mano mentre si siede accanto a me per parlare con il dottore ma sospira senza dire nulla e mia madre abbassa la testa avendo capito.

«Ho cambiato i farmaci con quelli un po' più forti rispetto ai precedenti due settimane fa, ma la situazione peggiora velocemente». Inizia ed io ascolto sentendomi uno schifo per via del dolore che sto provocando a mia madre e al resto della mia famiglia. Ormai vengo ogni settimana a fare sedute e mi sento in colpa anche per questo, non costano poco ma a mia madre e mio padre non importa.

«Ora come ora, mi dispiace dirlo, ma starei pensando a qualche giorno in una clinica priv-». Continuo ma lo blocco subito.

«Non andrò a ricoverarmi». Lo guardo e lui annuisce mentre mia madre stringe la mia mano.

«Va bene Charlie, ma devo aumentare i tuoi farmaci». Risponde ed io annuisco senza guardarlo. Dopo aver finito con il dottore salgo in macchina con mia madre, ci fermiamo a comprare i nuovi farmaci e subito dopo torniamo a casa. Mia madre va a parlare con mio padre e le mie sorelle ascoltando, guardo la scena e vedo mio padre che stringe mia madre in lacrime e le mie sorelle che mi guardando tristemente, dopo mi abbracciano ed io le stringo forte per poi andare in camera mia e mettermi a letto come sempre. Non trovo il senso della mia esistenza, tutto è morto dopo che lei è andata via. Non ci siamo più sentite, sarebbe stato peggio se fosse successo il contrario, vorrei tanto poterla sentire un'ultima volta, ogni giorno fisso la porta sperando di vederla entrare e tornare da lei ma non succede, quella porta non viene aperta da lei da oltre due mesi, io non vivo da oltre due mesi. Quasi ogni giorno mia cugina viene da me e si mette con me nel letto senza dire nulla, mi abbraccia e basta anche per più di un'ora, non c'è molto da dire ne dà fare, quindi si limita a questo così come il resto della mia famiglia. Ogni tanto entrano in camera che sia mia madre, mio padre o le mie sorelle, e restano un po' con me senza parlare molto, come ho già detto non c'è molto da dire, ma stanno male per colpa mia ed io per questo vorrei ammazzarmi.

Dopo essermi messa a letto mi addormento ma durante la notte mi sveglio di scatto, sudando freddo e in preda ad un attacco di panico, molte cose si racchiudono in incubi assurdi e l'unica cosa che faccio quando succede è alzarmi, mettermi nella doccia sotto il getto d'acqua e passare la lametta ovunque mi capiti così da alleviare il peso dei pensieri ma non passa, non passa con niente. Ogni notte è una tortura tanto che non riesco più a dormire, il massimo di dormita che riesco a fare sono quattro ore a notte, il resto nulla.

Ho bisogno di lei, e lei non c'è.

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