Capitolo 1

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La storia è molto cringe. È brutta assai. E non credo ne esistano di più brutte. L'ho scritta quando avevo avevo solo undici anni, quindi cercate di non prenderla troppo sul serio. Non la cancello solo perché è la mia prima storia⚠️.

«Sei forte, certo,» gemette Wilson, premendosi la ferita, che si era aperta procurato, quando avevo sparato. «Ma non sei abbastanza astuta per scoprire il mio piano!».
«Non esserne così sicuro» dissi, afferrando la pistola del nemico che era caduta a terra dopo il mio colpo e lanciai via la mia, ormai scarica.
«Ho già scoperto il tuo piano da tempo: non sono solo forte» affermai e un sorriso mi sfuggì, incurvandomi i lati della bocca.
Il mio tono era sicuro, abbastanza sicuro da intimorire Wilson, anche se tutta quell'azione non faceva che alimentare il mio ego.
Gli puntai la pistola alla testa, convinta di aver tutto sotto controllo. «Ora sparisci e che non ti veda più; ti ucciderò un'altra volta!». Il nostro giochino di avanti e indietro da un pianeta all'altro era di un'utilità spaventosa, nonostante ciò credevo che rimandare il momento decisivo mi avrebbe avvantaggiata.
Wilson scattò in piedi e si avviò verso la porta con la coda fra le gambe. Sorrisi soddisfatta, ma lui si fermò sull'uscio, ridacchiando. In quel momento ebbi l'impressione che la cosa mi fosse sfuggita di mano e il mio sorriso si spense all'istante.
Lui sfilò una pistola dalla giacca e me la punto alla testa, ridendo. «Oh, agente Johnson, non siete astuta come credete...!».
Capii che ero stata ingannata. Wilson non era veramente solo. Entrarono altri uomini, gli scagnozzi di Wilson, e anche loro mi puntarono le armi contro.
Avrei dovuto prevederlo... invece ero stata troppo occupata a pensare a quanto fosse stupida l'idea di incontrare Wilson per trovare un accordo pacifico.
Avevo la mano tesa in avanti per tenere la pistola, così diedi un'occhiata all'orologio da polso. Ancora tre minuti. Troppo.
Ma io ero piena di risorse.
Negli occhi di Wilson si accese una luce omicida. «E ora... addio, agente Johnson. Per sempre...!». Premette il grilletto e, in una frazione di secondo, vidi il proiettile che veniva verso il mio petto. Per fortuna, avevo sparato pure io, ma non verso Wilson, bensì dietro Wilson. No, non ero stupida, anzi, e non avevo neppure una mira schifosa. Dietro di lui c'era un bottone che apriva una botola, la cui posizione era esattamente sotto di me.
E mentre il pavimento si apriva, il sorriso di Wilson si spense.
Sprofondai e vidi il proiettile a un centimetro dal mio orecchio sinistro.
E poi solo il buio. Niente.
Finché tutto non si illuminò di una luce chiara e il buio scomparve. Chiusi gli occhi e caddi su un pavimento metallico. Li riaprii subito.
Mi alzai e recuperai la pistola. «Qualcosa è andato storto,» esordii. «La tua proposta è stata la cosa più stupida che abbia mai sentito!» dissi, attribuendogli ogni colpa.
Mr Murphy mi sorrise come sempre, anche se lo avevo appena insultato. Anzi a volte pensavo che nemmeno se ne rendesse conto.
Attesi alcuni secondi, ma non disse nulla, così alzai e lo sguardo stranita. «Allora niente commentini sciocchi come "tu sei stata brava" o "sei sempre perfetta"?» chiesi, stupita. Murphy era solito fare apprezzamenti sul mio aspetto, sulle mie decisioni... e praticamente su tutto.
Murphy allargò il suo sorriso. «Ho capito che ti dà fastidio, non lo dirò più!» disse fiero di sé.
«La ringrazio, Mr Murphy» risposi, con indifferenza. Ormai ci ero abituata.
Era innamorato di me da quando era arrivato. Cioè due anni prima. Una volta si era pure dichiarato, ma me ne ero andata subito, fingendo che non avesse detto nulla. Da quel momento cercavo sempre di non stare sola con lui, perché l'accaduto non si ripetesse.
«Puoi chiamarmi tranquillamente per nome» mi ricordò lui.
Erano anni che me lo ripeteva, eppure mi veniva difficile. Io associavo ogni persona al cognome. Avevo un rapporto strano con il mio nome. Non mi era mai piaciuto: Avril era un nome allegro, che proprio non si addiceva a me, così avevo imparato a lasciarmelo alle spalle. E adesso che ci pensavo, non lo ricordavo neppure il nome di Murphy.
«Che la cosa non sia reciproca: io sono solo l'agente Johnson!» dissi, per la centesima volta.
Murphy annuì, con quell'espressione da ragazzino che si addiceva ben poco ai suoi ventuno anni.
Lo odiavo proprio. Con tutto il cuore. Era un babbeo.
«Devo tornare a scuola» continuai, avviandomi verso la porta. Dovevo aver saltato come minimo un'ora.
Ma Murphy mi fermò. «Manca solo mezz'ora alla fine della scuola, agente Johnson».
Quindi erano passate tre ore? Vabbè, tanto avevo già saltato almeno metà anno.
«Ci torno lo stesso» risposi. Sarebbe stato meglio che rimanere con lui. E non potevo essere bocciata proprio prima dell'ultimo anno.
Superai Murphy e mi diressi verso la porta.
«Avril?» mi chiamò, mentre stavo per varcare la soglia.
Mi voltai, seccata. «Agente Johnson» lo corressi, acida. Ancora non gli entrava nella zucca, eh?
«Sì, giusto, agente Johnson» disse, imbarazzato. «Volevo chiederti se... insomma, se stasera ti andava di vederci, intendo fuori dalla base, per parlare.»
Rimasi in silenzio per alcuni secondi, interdetta. Murphy non mi aveva mai chiesto di uscire prima d'ora.
«Ehm sì, sì» dissi, tanto per liberarmi di lui. «Ci penserò.»

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