Capitolo 4

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In pochi minuti mi ritrovai su un taxi che sfrecciava a tutta velocità sulle strade di Londra. Murphy, accanto a me, si muoveva nervoso. Quasi come un cagnolino di quelli che avevo visto portare in giro dalle anziane signore.

‹‹Mi spieghi cosa diavolo sta succedendo?›› gli domandai ad un certo punto, stufa del suo silenzio.

‹‹Jade›› rispose solo voltandosi verso di me.

‹‹Jade?›› chiesi ancora. Quello che diceva non significava nulla senza un verbo.

‹‹Lei è dalla nostra parte›› spiegò. Io sbuffai. ‹‹Sì, ma chi è Jade?››

Murphy alzò le sopracciglia, stupito. ‹‹Te ne sei dimenticata così facilmente, miss Johnson?››.

In un attimo l'immagine della ragazza dagli occhi castani che, quell'ultimo giorno alla base, mi aveva sorriso mi passò davanti agli occhi come un film. Quella che non faceva paura. Quella che aveva preso il mio posto.

La mia espressione sorpresa si tramutò in una smorfia di disgusto. Ancora quella.

‹‹Non voglio venire›› dissi, di punto in bianco.

Murphy alzò un sopracciglio. ‹‹Avril, non fare​ la bambina, lei può aiutarti››.

‹‹Non ho bisogno del suo aiuto››. Feci cenno al taxista di fermarsi. Lui obbedì quasi subito.

Feci per uscire, ma Murphy mi trattenne per una manica della maglia. ‹‹Avril, ti prego. Lei sa di cosa hai bisogno!››.

Gli scoccai un'occhiata assassina. Nessuno sapeva di cosa avevo bisogno, nessuno poteva aiutarmi e tanto meno lei. ‹‹Lasciami›› sibilai, minacciosa.

Lui mi lasciò andare, l'espressione dispiaciuta, ed io mi affrettati a scendere e chiudere la portiera. Osservai il taxi allontanarsi, mentre mi dirigevo verso casa.

Non avrei mai parlato in modo pacifico con Jade, per niente al mondo. Lei aveva più di qualcosa che non mi convinceva. Lei mi aveva rubato il lavoro.

Lei doveva dimostrarmi di essere la persona giusta, quella di cui fidarmi.

Ci rimuginai su fino a casa. Durante il tragitto si mise pure a piovere, così mi strinsi nel maglioncino, anche se non servì molto. Quando rientrai a casa bagnata fradicia, la nonna mi chiese cosa fosse successo, ma io non risposi perché avevo altri pensieri per la testa.

E se Murphy fosse stata solo una distrazione per allontanarmi? Nulla mi garantiva che lui non c'entrasse niente con quella storia e collaborasse con Wilson anche lui.

E, se lui collaborava con Wilson, bramava le stesse cose di Wilson. Trasalii e scansai la nonna, correndo verso la mia stanza. Spalancai la porta e subito mi fiondai dentro. Chiusi la porta a chiave alle mie spalle, poco prima che la nonna arrivasse e cominciasse a bussare insistentemente. ‹‹Avril, aprimi, forza!››.

Non la ascoltai minimamente, mi inginocchiai davanti al comodino e aprii l'ultimo cassetto.

La finestra si spalancò di colpo per il gran vento e la pioggia entrò a valanga, cascandomi addosso e facendomi un'altra doccia.

Non mi disturbai a chiuderla, ma mi mossi a svuotare il cassetto, rovesciandone il contenuto per terra. Mi misi ad armeggiare con il cassetto e ne tirai fuori un diamante enorme.

I tuoni lampeggiavano fuori dalla finestra aperta, illuminando il diamante bianco, facendo riflettere la sua luce sulla mia faccia.

Era ancora lì.

Ringraziai il mondo per quello.

Quel diamante era​ l'unica cosa che Wilson voleva e che avrebbe fatto di tutto per prendere. Con quello avrebbe governato il mondo, poiché oltre ad essere preziosissimo e unico al mondo, era magico. Magico nel senso che avrebbe ammaliato chiunque. Già, possedeva il potere di portare fortuna, di far diventare un uomo potente chiunque fosse il proprietario. Il problema era che sulle donne non funzionava, e nessuno lo sapeva, quindi anche le donne lo bramavano.

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