Capitolo 22

17 4 0
                                    


Erano cinque giorni, dieci ore e trentadue minuti che ero confinata in quella stanza. Non ce la facevo più. Ogni tanto venivano a trovarmi Rose, Wright, Cara Murphy e mia nonna, ma ciò non cambiava la situazione.

La nonna era venuta a trovarmi per la prima volta martedì, poi era tornata il giorno dopo e veniva quasi tutti i giorni. Mi aveva portato dei vestiti che però non avevo ancora messo, dato che mi stringevano troppo sull'addome, dove avevo una voluminosa fasciatura. Da quel giorno in cui ero rinvenuta, avevo scoperto che: primo, ero stata operata da un'agente segreto della base che si era appena laureata in medicina, secondo, un'altra settimana d'inferno mi aspettava lì dentro e, terzo, Colin non mi aveva ancora raccontato nulla di ciò che era successo dopo che Wilson mi aveva sparato. Ogni volta che glielo chiedevo, cambiava argomento, così avevo smesso di insistere.

Quel giorno mi aveva detto che l'indomani mi avrebbe spiegato tutto, che avrei avuto le mie risposte, ma non era stato così. Sarah Smith non si era fatta viva e nessuno aveva accennato a lei in quei giorni.

In realtà, in quei maledetti cinque giorni, nessuno aveva accennato a niente che riguardasse le missioni. Si erano tutti limitati a chiedermi come stessi - una merda - e dirmi che non vedevano l'ora che guarissi.

Colin, con mio grande disappunto, si era rifiutato di starmi accanto ventiquattro ore su ventiquattro, così veniva la mattina verso le dieci e stava fino all'una. Dopo se ne andava e tornava più o meno alle tre, tre e mezza e andava via la sera.

La sua compagnia comunque non era un granché. La mattina mi rimproverava perché stavo ancora dormendo alle dieci del mattino, poi apriva le finestre, vecchie di cinquemila anni che facevano un rumore terribile.

Dopo iniziava la seconda ramanzina, questa volta perché non avevo camminato. Come se dovessi fare i salti di gioia per poter fare il giro della stanza e poi rifarlo ancora e ancora fino allo sfinimento. Dato che stavo cercando di guarire dovevo camminare un po', nonostante fosse una tortura per me.

Dopo la seconda ramanzina, mi faceva alzare e mi aiutava a camminare per la stanza. Ormai lo sapevo a memoria il perimetro di quella dannata stanza.

Mi stufavo sempre più presto di quel giro.

In un attimo arrivava ora di pranzo dove mi portavano da mangiare delle schifezze immonde. Non c'era mai niente di decente da mangiare in quel posto schifoso.

Finito il pranzo (dopo la solita scenata che facevo, che Colin aveva definito infantile. Ma volevo proprio vederlo lui a mangiare quella roba!), camminavo un altro po', poi Colin se ne andava ed io rimanevo come un'ebete a fissare​ il soffitto, facendomi le stesse domande a cui ancora nessuno aveva dato una risposta.

Più o meno alle tre, Colin tornava. Non ero sicura se fosse meglio la mattina o il pomeriggio, ma di certo eravamo lì.

Entrava nella mia stanza, mi faceva il solito, stesso sorriso intenerito e appoggiava sul mio comodino un libro. Sempre diverso. Ormai ci facevo la collezione. Mi portava sempre un tomo enorme, tipo cinquecento pagine, se non di più, che io aprivo e sfogliavo, poi riappoggiavo sul comodino e me ne dimenticavo.

Ovviamente però non si arrendeva mai. Prendeva il libro in questione e leggeva alcune pagine ad alta voce, fino a che non lo fermavo e lui lo rimetteva sul comodino, rassegnato.

Quel giorno mi svegliai senza sapere perché mi fossi addormentata. Erano le due e mezza e mi ero addormentata dopo che Colin se n'era andato.

Mi misi a sedere, dolorante. Anche alzarsi faceva male. Sbuffai, guardandomi intorno. Non avevo nulla da fare alle due del pomeriggio. Se non c'era Colin mi deprimevo. Non ci avevo mai pensato, ma, senza di lui, sarei stata distesa su questo letto per tutta la settimana.

Mancava ancora un'ora al ritorno di Colin. Quel giorno mi sentivo stanca morta, eppure la notte prima avevo dormito.

Chiusi gli occhi per un secondo e rischiai di riaddormentarmi ancora.

Mi girai su un fianco, dando le spalle alla porta. Me ne fregai completamente del fatto che fossero le due e mezza e provai a dormire ancora un po'. Tanto, che altro avrei potuto fare?

Chiusi gli occhi, rilassandomi.

Sentii la porta aprirsi, ma non ci feci caso. Ogni tanto si apriva da sola, perché era rotta. E poi, una volta tanto che facevo quello che volevo!

Fui ad un passo dall'addormentarmi di nuovo, quando un bacio si posò sulla mia tempia. Aprii gli occhi e mi girai a pancia in su, sorridendo a Colin.

I suoi occhi scuri mi guardarono felici e mi baciò sulle labbra.

Poi andò a sedersi sulla sedia accanto al mio letto e sospirò. <<Come va, Johnson?>> mi chiese. Notai che teneva in mano un mazzo di fiori blu, alzai un sopracciglio, stizzita. No, adesso non anche i fiori...

Io feci spallucce. <<Come sempre>> risposi.

Lui allargò il suo sorriso. <<Vedo anche di buon umore, come sempre>> sogghignò, poi mi porse i fiori. <<Tieni, li ho presi in un negozio qui vicino. Lo avevo intuito che non ti piacciono i fiori, per questo li ho presi>>. Mi sorrise malizioso, mentre io prendevo il mazzo di fiori. Erano di un bel blu cobalto. Non erano per niente brutti, anzi.

Vidi che aveva posato un libro sul mio comodino, ma feci finta di niente. Sbirciai il titolo da sopra i fiori. Guerra e pace di Tolstoj. Ma anche no...

<<Comunque, non ho mai detto che non mi piacciono i fiori>> ribattei, cambiando completamente argomento e lanciandogli un'occhiataccia. <<Non mi piace che continui a trattarmi come un malato in ospedale>>.

Il suo sorriso si spense e alzò un sopracciglio. <<Ah, è così?>>. Sostenni il suo sguardo penetrante.

<<Primo,>> cominciò. <<È come se fossi in ospedale. Stanno monitorando la tua situazione, per vedere quante settimane ancora dovrai stare qui>>.

Lo fissai sgomenta. <<Settimane?>> chiesi. Cinque giorni erano già stati un inferno!

<<Secondo,>> continuò, come se non avessi parlato. <<Ti pare che ti stia trattando come un malato di ospedale? Avril, la mattina arrivo e ti sgrido. Pensi che un infermiere o un dottore lo farebbe?>>.

Non risposi. In effetti...

I suoi occhi castani mi osservarono per qualche secondo prima di rincontrare i miei azzurri. <<Vorrei che tu apprezzassi questi momenti, Avril, perché non ce ne saranno più>> sussurrò, abbassando lo sguardo. <<Non avremo più la possibilità di stare tranquilli come adesso. Probabilmente​ l'ultimo ricordo che avrò di te sarà la stessa scena di sei giorni fa. Quando Wilson ti ha sparato. Solo che non finirà allo stesso modo... Non sarai così fortunata>>. Il suo sguardo si perse nel vuoto, mentre i suoi occhi si facevano lucidi.

<<Perché... adesso siamo tranquilli?>> domandai, sapendo già la risposta. Loro mi stavano nascondendo molte cose. C'erano molte questioni in sospeso. È l'unico motivo per cui me le nascondevano era perché il problema non era risolto. Nessuno dei problemi si era risolto.

Colin alzò lo sguardo di nuovo su di me e aprì la bocca per risponde, ma in quel momento la porta si spalancò, lasciandomi a bocca aperta.

BloodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora