02. Un mese è un sacco di tempo

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“𝐘𝐨𝐮'𝐫𝐞 𝐧𝐨 𝐜𝐥𝐨𝐬𝐞𝐫 𝐭𝐨 𝐡𝐢𝐦,
𝐧𝐨𝐰 𝐲𝐨𝐮'𝐫𝐞 𝐡𝐚𝐥𝐟𝐰𝐚𝐲 𝐡𝐨𝐦𝐞.
𝐎𝐧𝐥𝐲 𝐜𝐚𝐥𝐥𝐢𝐧𝐠 𝐲𝐨𝐮 𝐰𝐡𝐞𝐧 𝐝𝐨𝐧'𝐭 𝐰𝐚𝐧𝐧𝐚 𝐛𝐞 𝐚𝐥𝐨𝐧𝐞,
𝐨𝐡, 𝐚𝐧𝐝 𝐲𝐨𝐮 𝐠𝐨
𝐰𝐡𝐲? 𝐘𝐨𝐮 𝐝𝐨𝐧'𝐭 𝐤𝐧𝐨𝐰.”

Fu una sensazione così strana

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Fu una sensazione così strana.
Aprii gli occhi e, voltandomi su un fianco per fronteggiare l'ampia finestra come ogni mattina, la sagoma lucente del sole sorto da poche ore, fu parzialmente oscurata dal corpo di Ray.

Era rimasto, sul serio.
Non che non fosse mai accaduto prima, ma di solito restava dopo essere riuscito a portarmi a letto, questa volta lo aveva fatto perché voleva, allora tutto sembrò assumere un aspetto diverso.
C'era un minuscolo particolare, però, che mi saltò all'occhio più di ogni altra cosa: non ero felice.
Insomma, quel che voglio dire è che risvegliarmi con il padre dei miei figli accanto dopo averlo desiderato per così tanto tempo, avrebbe dovuto causarmi quella stretta calda al cuore che non provavo ormai da mesi... E invece no, io non sentivo proprio nulla. Certo, ero grata che fosse lì, che fosse rimasto per dimostrarmi di voler fare sul serio, ma ero io a sentirmi diversa. Sulle mie labbra non apparve quel sorriso genuino dettato dall'amore, il mio stomaco non era in subbuglio a causa dell'emozione e il cuore non mi tremò nel petto.
Tutto era statico ed io non capivo perché.

Avevo passato notti intere, in bianco, a pregare che accadesse, ed ora che quel che tanto avevo agognato era lì, non sentivo quelle emozioni che invece avrei immaginato di provare. Ma che problemi avevo?

«Hey, dolcezza...» sentii Ray mugolare assonnato e i miei occhi incrociarono i suoi, ancora semi-chiusi. Ogni secondo che passava io mi sentivo sempre più in colpa, incapace di comprendere perché non fossi felice come avrei dovuto.
«Già sveglia?»

«Uh-huh,» annuii lasciando andare un sospiro e mi passai le mani sul volto sbadigliando, «presto i bambini saranno svegli, ho bisogno di una doccia prima di mettermi in moto e preparare la colazione.» Riportai lo sguardo su di lui e lo vidi allungare una mano verso di me, sfiorò la mia coscia ed io deglutii impercettibilmente.

«Pancakes?» chiese sorridente, ma io scossi la testa e mi sottrassi al suo tocco, saltando giù dal letto.

«Preferiscono latte e cookies.» Sorrisi amaramente, rendendomi conto che non avesse la più pallida idea di cosa i suoi figli preferissero per colazione.
Era una stupidaggine, o almeno poteva sembrarlo, ma mi aspettavo ne fosse a conoscenza. Per noi era un rituale, ogni sabato sera subito dopo cena, ci riunivamo a tavola e preparavamo i cookies, guardando poi un cartone animato della Disney per ingannare i tempi di cottura.

«Oh,» distolse brevemente lo sguardo, ma presto il suo sorriso tornò a ravvivarsi, «e noi? Pancakes?»

«Ray, ascolta... Credo sia meglio evitare. Non voglio che i bambini ti vedano riapparire per poi sparire, come ho già detto ho bisogno di tempo, quindi penso che dovresti andar via. Però possiamo vederci per pranzo, o magari cena. Al momento non voglio fare nulla che possa essere troppo inaspettato per loro.» Non avevo più intenzione di assecondare i suoi vai e vieni, né di ritrovarmi a spiegare ai nostri figli dove fosse finito il padre, o perché riapparisse per colazione una volta al mese.
Avrei spiegato loro che lo avremmo incontrato per pranzo o cena, sarebbe stato molto più semplice per tutti.

𝐋𝐞𝐭 𝐈𝐭 𝐁𝐞 𝐌𝐞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora