37. Sono qui, adesso

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“𝐘𝐨𝐮 𝐠𝐨𝐭 𝐚 𝐧𝐞𝐰 𝐥𝐢𝐟𝐞.
𝐀𝐦 𝐈 𝐛𝐨𝐭𝐡𝐞𝐫𝐢𝐧𝐠 𝐲𝐨𝐮?
𝐃𝐨 𝐲𝐨𝐮 𝐰𝐚𝐧𝐧𝐚 𝐭𝐚𝐥𝐤?

Non c'era nulla di più terapeutico, in quel momento, che passare del tempo di qualità insieme

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Non c'era nulla di più terapeutico, in quel momento, che passare del tempo di qualità insieme.

Io, mio papà, Lia e i bambini eravamo in spiaggia. Certo, non era esattamente il periodo dell'anno migliore da trascorrere in riva al mare, ma i bambini mi avevano supplicata per convincermi ad andare in spiaggia, a raccogliere le conchiglie, qualcosa che facevamo sempre e che in mia assenza con Lia avevano fatto ancor di più, così alla fine avevo ceduto.

Makayla e Gabriel erano seduti su un telo a giocare con le conchiglie raccolte, avvolti nei loro cappotti che avrebbero impedito anche al più sottile filo d'aria di penetrare.
Noi tre, invece, eravamo seduti a circa un metro di distanza da loro, in silenzio.
Continuavo a fissare l'orizzonte e sentivo di star sprecando tempo, ogni minuto con il mio papà a quel punto era prezioso come nient'altro al mondo e mi distruggeva sentire il tempo scivolarmi fra le dita.
Avrei voluto poterlo fermare, evitare che corresse come faceva sempre e renderlo infinito, ma non sarebbe stato mai abbastanza.

Di tanto in tanto volgevo il viso verso la mia destra, osservavo l'uomo accanto a me e cercavo disperatamente di imprimere ogni suo dettaglio nella mia mente, nel mio cuore.
Avere la certezza che un giorno, non troppo distante, avrei potuto aggrapparmi solo ed esclusivamente a quei ricordi, mi rendeva immensamente triste. Allo stesso tempo, però, non volevo rendere un piagnisteo i suoi ultimi mesi, volevo che fosse felice e che si divertisse, volevo fare del mio meglio per impedirgli di pensare, per quanto possibile, alla fine di tutto.

Pochi giorni prima pensavo di avere tutto il tempo possibile a disposizione con lui, pensavo di poter cominciare un nuovo capitolo della mia vita in cui lui ci sarebbe stato, invece non sarebbe andata così.
Un giorno mi sarei svegliata, e lui non ci sarebbe stato. Né vicino, né lontano.
Un giorno mi sarei svegliata e non avrei ricevuto il buongiorno da lui, che magari era impegnato a concludere una serata all'Underground. Mi sarei svegliata nel silenzio più assoluto e assordante e mi sarei sentita persa.

Non ero mai stata sola, per quanto difficile la mia vita fosse stata fino a quel momento, io realmente sola non ci ero mai stata.
E mi sentivo in colpa per tutte quelle volte in cui mi ero lamentata del dolore, della sofferenza. Mi sentivo in colpa perché allora non avevo ancora mai provato il vero dolore, quello che ti dilania dentro quando sei sul punto di perdere la persona a cui tieni più al mondo. E dicevo sul serio.
Nulla di quel che avevo provato nell'arco della mia vita era paragonabile anche soltanto all'idea di perdere Jonny.

Avevamo appena reso ufficiale il nostro legame, potevo finalmente urlarlo al mondo intero quanto orgogliosa fossi di avere un padre come lui. Non era giusto che lo perdessi.
Non me ne capacitavo, perché la morte, io, non l'avrei mai augurata neppure al mio peggior nemico, ma pensare che una persona tanto pura e buona fosse vittima di un destino tanto crudele, era devastante.
Perché se proprio c'era un bisogno tanto impellente di affibbiare una tale fine a qualcuno, c'era un'innumerevole quantità di gente malvagia sul nostro pianeta, gente che faceva del male ad altra gente. Jonny non faceva parte di quella cerchia di persone, neppure lontanamente.

𝐋𝐞𝐭 𝐈𝐭 𝐁𝐞 𝐌𝐞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora