«Ora e per sempre, lascia che sia io.»
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Ad undici anni di distanza, Matilda realizza di essere ancora smarrita nello stesso, maledetto, labirinto.
Dopo essere fuggita dalla famiglia che l'ha costretta a...
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Non riuscivo a credere come una manciata d'ore fosse stata in grado di stravolgere ogni cosa.
Erano passati due giorni, e per quanto ci stessimo provando, non sembrava esserci modo di riportare tutto alla normalità. Io non riuscivo più a guardare Harry allo stesso modo, o non riuscivo a guardarlo affatto. E per lui non era tanto più semplice. Cercava di fare conversazione e sdrammatizzare, ma la mia mente non cessava di riprodurre la notte a Las Vegas, la mattina su quel balcone a Santa Monica. Avevo sentito Julia negli ultimi due giorni, ma non ero ancora riuscita a parlarle dell'accaduto. Mi ero comportata da vera irresponsabile e non c'era giustificazione che reggesse. Avevo due bambini a cui pensare, un lavoro da svolgere, una casa a miglia di distanza e una vita stabile, sicura. Perderne il controllo mi aveva incredibilmente destabilizzata, a tal punto da rendermi difficile persino parlare.
Io ed Harry ci eravamo spostati a Los Angeles quel giorno stesso, dopo aver recuperato il van e le nostre cose da Allen, che era stato così gentile da venirci incontro. Erano trascorse quasi quarantotto ore, ore in cui avevamo parlato esclusivamente per il minimo indispensabile, ore in cui non ero riuscita a collaborare con Harry per cercare di superare quella situazione, ore in cui il suo sguardo non lo avevo incontrato affatto – se non per errore. E so bene che avrei potuto far meno la drammatica, prendere quell'esperienza alla leggera e andare avanti. Perché si trattava pur sempre di Harry e, che lo volessi o meno, le nostre strade si sarebbero divise in ogni caso di lì a poco. Ed era proprio questo a spaventarmi. Quando avevo accettato di unirmi a lui per un giro degli stati, non avevo tenuto conto di quanto potessi legarmici, avevo sottovalutato quella connessione istantanea tra di noi, pensando che restasse qualcosa di platonico, o addirittura immaginario. Ma quel che era successo di platonico aveva ben poco, le sensazioni che Harry mi faceva provare erano extraterrene. Mi faceva sentire così viva che temevo cosa sarebbe accaduto una volta detti addio, una volta tornata alla normalità, alla quotidianità.
«Vado a prendere un po' d'aria.» Lo informai, raccolsi la mia tote bag con l'essenziale e gli rivolsi una rapida occhiata prima di uscire dalla stanza.
«Okay. Ripartiamo al tuo ritorno?» chiese incerto, io mi fermai sulla porta e annuii.
«Uh-huh. A tra poco.» Uscii di lì senza neppure aspettare una risposta. Corsi giù per le scale del bed and breakfast con il cuore in gola e gli occhi colmi di lacrime. Avevo tenuto dentro tutte quelle emozioni per due giorni, nella speranza di sopprimerle, eliminarle. Ma non avevo fatto altro che ottenere l'effetto contrario. Sentivo il battito cardiaco forte come un martello pneumatico al centro del petto, non volevo piangere, autocommiserarmi era l'ultima delle mie intenzioni, ma non riuscivo a fermare la mia testa.