Capitolo 47

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«Pùlyennèrgo et memòryam lòci remòveo.» Esclamarono in coro gli anziani.

Sospirai pensando a come sarebbe stato tornare alla mia quotidianità senza Jake.

Ero un vampiro.

Ero un dannato vampiro che sarebbe rimasta da sola senza saper gestire il proprio lato innaturale.

«Pùlyennèrgo et memòryam lòci remòveo.»

Il mio corpo steso in una bara era freddo mentre gli anziani pronunciavano il sortilegio.

Si muovevano in cerchio coperti da mantelli neri che nascondevano il loro volto. I miei occhi iniziarono a rifiutare la luce della luna, mossi istintivamente le dita delle mani ma servì a poco e niente.

«Pùlyennèrgo et memòryam lòci remòveo.»

La mia mente iniziò a svuotarsi. Gradualmente iniziai perdere coscienza. Mi sentii leggera fino a quando non sentii una voce gridare.

«Cosa state facendo?» Riconobbi la voce di Jake ma fu troppo tardi.

Caddi in un sonno profondo. I miei occhi si chiusero.

Stavo tornando a casa.

Capii solamente le parole degli anziani che si affievolivano prima di perdere totalmente coscienza.

Era tutto perduto. Capisci di essere nel baratro quando la tua anima diventa così leggera, quando rinunci alla tua felicità per una vita dannata.

Non seppi quanti giorni passarono, se fossero passate anche ore solamente o minuti.

Quando mi risvegliai tirai un sospiro affannato. Mi guardai intorno notando la mia camera da letto nel mio appartamento tanto odiato quanto amato.

Ero seduta supina con gli occhi spalancati e pensieri confusi mi colpirono come freccette.

Ero tornata.

Mi alzai in punta di piedi confusa e spaventata che fosse solamente un sogno. Vagai per l'appartamento in un silenzio quasi strano.

Dalla camera da letto sentii il telefono suonare e mi precipatai lì. Vidi la sveglia che segnava l'orario in cui mi svegliavo per prepararmi per il lavoro.

Tutto sembrava normale.

Sbuffai. Ero melodrammatica e se non mi fossi sbrigata avrei ritardato al lavoro.

Quando entrai nell'edificio nessuno si interessò alla mia presenza, come se non fossi mai mancata. Uscii dall'ascensore notando Greice alla sua scrivania, come sempre.

Appena mi vide sorrise senza spostarsi nemmeno di un millimetro.

«Giornata dura ieri?» Esclamò ridendo.

Aggrottai la fronte e posai la borsa sulla sua scrivania pensierosa. «Non sono mancata al lavoro?» Chiesi.

Mi fissò come per dire che avevo qualche rotella fuori posto. «Non ti capisco, Eve.»

Sbuffai prima che potesse farsi domande e afferrai nuovamente la borsa.

«Nulla, lascia perdere. Io mi metto al lavoro.» Risposi per poi svignarmela nel mio ufficio.

Passai la giornata tra fascicoli, PC e colleghi che non mi davano un attimo di tregua.

La sera ero così immersa al PC da non notare nemmeno il mio capo sull'uscio della porta. Quando lo vidi sobbalzai leggermente per la sorpresa.

«Signorina Roberts, non intendevo spaventarla. L'ufficio sta chiudendo, le conviene sbrigarsi.» Disse sorridendo, come sempre.

Guardai l'orologio al polso e ridacchiai a disagio. «Oh, non me n'ero accorta. Grazie mille, signor Jones!»

Se ne andò e ne approfittai per prendere le mie cose e spegnere il PC.

Uscii dall'ufficio e mi diressi nell'ascensore accompagnata dal mio capo. Non parlammo, il ché rese tutto ancora più imbarazzante.

«Arrivederci, signorina Roberts!»

Ricambiai il saluto prima di entrare nella mia auto velocemente.

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