Capitolo 54

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Lasciammo la casa di Margaret entrambe sconvolte.

Si susseguirono nella mia mente le immagini dei miei genitori senza che potessi fermarle.

Rimaneva solamente la scoprire perché nel mio sangue vi erano due discendenze opposte.

«Angie, tu credi nel destino?»

Angie afferrò una sigaretta dal pacchetto rosso della Marlboro e l'accese, scuotendo la testa.

«Francamente da quando sono diventata immortale, no. Non credo in nulla se non in ciò che si palesa davanti ai miei occhi. Una contraddizione detto da una vampira, vero?» Ridacchiò alla fine.

Portai le mani in grembo torturando le pellicine delle unghie. «Se esiste un destino per me, si starà beffando in questo momento della mia pazienza.» Mormorai.

Angie mi scambiò un'occhiata e continuò a camminare tenendo saldamente la sigaretta tra l'indice e il medio.

Rimanemmo in silenzio per tutto il tragitto ascoltando le persone intorno a noi e la natura.

«Ci rivediamo un'altra volta. Adesso, devo scappare.» Esclamò quando arrivammo di fronte al mio appartamento.

Ricambiai il saluto ed entrai. Sospirai al pensiero che ancora ero solo all'inizio.

Mi appisolai nel letto.

«Eve, è colpa tua.»

Osservai il volto tetro e freddo di mia mamma guardarmi con disprezzo.

«Mi dispiace tanto. Non volevo che finisse in quel modo.» Piansi.

Si avvicinò per sfiorare una ciocca dei miei capelli e puntò nuovamente gli occhi vuoti nei miei facendomi rabbrividire.

«Mi hai uccisa.» Sussurrò in una preghiera.

Piansi ancora di più scuotendo la testa per negare le sue parole.

«No, non è vero!» Urlai.

Strinse tra le mani il taccuino che vidi nella visione e si avvicinò di scatto ad un passo dal mio viso.

«Hai ucciso anche tuo padre!» Sputò.

«No!» Gridai.

Mi alzai mettendomi seduta sul letto col respiro ansante e madida di sudore.

Crack!

Sentii un rumore provenire dalla cucina e guardai di riflesso verso la porta. Il mio sesto senso mi diceva che c'era qualcosa nel mio appartamento.

Abbassai lentamente i piedi sulla moquette e camminai con passo misurato.

Quando arrivai in cucina vidi l'uomo incappucciato di nero dell'altra volta rovistare per il soggiorno che si apriva sulla cucina.

«Ancora tu?» Esclamai arrabbiata.

Si voltò di scatto puntando lo sguardo nei miei occhi e non perse tempo ad avvicinarsi.

I miei occhi si scurirono, i canini si affilarono in segno di avvertimento.

«Non ti muovere.» Ringhiai.

Alzò le mani in segno di resa. Il mio respiro iniziò a calmarsi fin quando non posò velocemente una mano dietro la schiena estraendo qualcosa simile ad una balaustra.

Me la puntò addosso con un ghigno divertito. «Stupida vampira, queste frecce sono avvelenate. Se ora scoccassi una freccia nel tuo cuore moriresti entro cinque minuti. La tua pelle diventerebbe acerba, i tuoi occhi perderebbero il loro colore, non avresti più la forza e del tuo corpo rimarrebbero solamente le ossa.»

Cercai di non mostrare lo sgomento che quelle parole mi provocò ma inevitabilmente i canini si ritrassero e ripresi la mia sembianza umana.

Il tempo di riprendere la lucidità vidi l'uomo prendere con decisione una pistola e spararmi.

Spalancai gli occhi. Mi aveva uccisa?

I miei occhi iniziarono ad appesantirsi mentre l'uomo si avvicinava a me. Si chinò su di me prendendomi in braccio.

«Tranquilla, è solo un tranquillante. Ti farà stare buona fin quando non arriveremo nel laboratorio.»

Avrei voluto urlare ma uscì più un sussurro appena udibile. «Che laboratorio?»

Chiusi gli occhi definitivamente perdendo la lucidità.

IL RICHIAMO DELLA ROSADove le storie prendono vita. Scoprilo ora