Capitolo 14

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Lavorai distrattamente al computer per qualche ora al mio progetto letterario riguardante la fauna selvatica e mi venne spontaneo pensare a quanto la mia vita fosse monotona.

Nessuna casa editrice si era degnata di contattarmi.

Ero attratta da un detective arrogante.

Mio papà era morto in circostanze misteriose.

Avrei avuto altri mille motivi per lamentarmi ma la mia vocina interiore mi diceva che non era poi, tutto sommato, così male. Tralasciando la morte di mio papà.

Il telefono vibrò mentre ero intenta a leggere un email poco importante.

«Salve, parlo con Eve Roberts

Esclamò una voce femminile con tono cordiale. Corrucciai la fronte confusa, pensando fosse l'ennesimo call center.

«Mi dica.» Risposi.

«Abbiamo letto il suo manoscritto e ci interesserebbe discuterne con lei in un breve incontro. Se lei è d'accordo?»

Mi venne da esultare mentalmente e per un attimo rimasi sconvolta, tanto da non rispondere.

Era inverosimile che una redazione avesse deciso di contattarmi. Erano anni che mandavo i miei manoscritti alle redazioni ricevendo le tipiche risposte.

"Il suo manoscritto è eccezionale ma non si adegua alla nostra idea editoriale."

Insomma, un bel modo per dire che non era all'altezza.

«Certo, mi dica quando.» Replicai cercando di apparire il più calma possibile.

«Domani le andrebbe bene, per le 17:30?»

Risposi felice che era perfetto e ci salutammo per poi chiudere la chiamata.

Guardai rimbambita il muro davanti a me con un espressione da ebete e cercai di contenermi.

Però, la felicità prese il sopravvento e così iniziai ad urlare per casa e saltellare.

La mia giornata procedette normalmente, il che equivale a dire: noiosamente.

Il mio caffè era l'essenza della felicità contornato dall'impossibile detective che da un po' tormentava le mie giornate e nottate.

La mia corsa mattutina era l'unico stimolo adrenalinico.

O forse, era l'ennesima abitudine.

Pensai mentre correvo nel solito parco con le cuffiette e una base di Spotify.

Mi fermai quando sentì il respiro iniziare a mancare e mi sedetti su una panchina datata di legno.

«Ma chérie, puis-je te poser une question

Alzai lo sguardo lentamente e osservai la ragazza, che sembrava avere la mia stessa età, guardarmi con un sorriso e con una mappa in mano.

Cosa stava dicendo?

Pensai. Il francese era sempre stata una lingua incomprensibile per me, se non qualche parola semplice come merci o bonjour. Solo perché mi ricorda il brand famoso bourjois.

«Non- parlo - francese.» Risposi lentamente e aiutandomi con i gesti.

«Tellement chanceux! Finalmente trovo qualcuno della mia età che non mi snobba alla prima domanda.» Disse sospirando per poi sedersi sulla panchina affianco a me.

Mormorai qualcosa di incomprensibile totalmente scioccata dal suo repentino cambiamento di linguaggio.

«Vedi, sto cercando questo posto ma fino ad ora quando inizio a parlare in francese chiunque mi risponde che non sa come spiegarmelo e se ne vanno. Je me souvenais de cet endroit beaucoup plus accueillant.» Finì con una frase in francese roteando gli occhi e guardando da un'altra parte.

Non diedi peso all'ultima frase, anche perché non capii nemmeno una parola se non je da quel che mi ricordavo delle lezioni prese alle scuole medie da una suora che ci bacchettava ogniqualvolta non sapessimo rispondere alle sue domande.

Mi mostrò con l'indice un punto sulla cartina e capii che parlava del centro storico della città.

Le spiegai brevemente come arrivarci e mi meravigliai perché non era niente male caratterialmente parlando.

«Alors, merci! Spero di rivederti presto, magari in giro.» Esclamò alzandosi di scatto dalla panchina.

Il suo vestito svolazzò e tenne con le mani il bordo per evitare che il vento lo facesse alzare, il suo cappello di paglia cozzava parecchio col resto dell'abbigliamento e tutto sembrava descriverla come una persona dinamica ed estroversa.

L'opposto di me.

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