XXXVIII. DI NUOVO LUI

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Quella sera stessa fui mandata a chiamare. Raggiunsi la stanza con il cuore in gola. Herman si era installato in una delle camere degli ospiti. La stanza migliore. Mi attendeva in piedi, le mani unite dietro la schiena, lo sguardo che vagava fuori dalla finestra. Il soldato che mi aveva accompagnata chiuse la porta non appena fui entrata. Eravamo solo io ed Herman. Restai in attesa, il cuore che rombava nel petto. A qualche metro da me c'era il grande letto a baldacchino, dove un tempo chissà chi ci aveva dormito. Forse pallide principessa o spregiudicate amanti.

-Sono felice che tu sia qua- esordì Herman, voltandosi verso di me –io... ho provato a cercarti in questi ultimi mesi, non è stato facile arrivare fin qua-

Le sue parole ebbero l'effetto di rassicurarmi. Gli raccontai brevemente gli ultimi eventi. Fu liberatorio. Lui mi lasciò parlare e subito si creò la solita complicità, il solito solido rapporto. Era bello sapere che quel nostro legame continuava a esistere, solido come l'acciaio.

-Sono contento che tu stia bene- disse infine lui –e voglio che tu sappia che da me non dovrai temere nulla-

Perché allora mi aveva fatta chiamare? La risposta arrivò quasi subito. Herman indicò un tavolino su cui c'era una scacchiera.

-Che ne dici? Ho solo trovato giocatori mediocri... vuoi fare una partita?-

-Molto volentieri- accettai, ben sapendo che stavo accettando molto altro.

E fu così che iniziò il nostro gioco. Io e lui, seduti ai lati opposti di quella scacchiera. Herman mi cedeva, per gentilezza, per galanteria, per semplice piacere, sempre i bianchi, così ero io a muovere per prima. E il letto restava lì, come tacita promessa o minaccia. Era un gioco di abilità, di destrezza, di strategia. Una continua seduzione.

Nei giorni seguenti Herman m'invitò a cenare con lui. Compresi subito che i piatti che mi venivano serviti comprendevano prelibatezze, rarità in quei tempi di guerra. Non glielo feci notare. Supposi che volesse impressionarmi, che forse volesse mostrarmi che poteva prendersi cura di me, che era in grado di corteggiarmi, che meritava il mio amore. Io comunque non avevo dubbi al riguardo.

Una di quelle sere vidi che aveva un grammofono. Dove lo avesse trovato non lo sapevo, forse sul mercato nero, forse la sua posizione gli permetteva di avere tutto ciò che voleva. Non parlò, ma mise la musica. Un suono che conoscevo invase l'aria, riportandomi alla mente antichi ricordi. –I Nibelunghi- compresi.

Herman sorrise, felice che l'avessi riconosciuto, che il filo tra di noi fosse ancora solido. –Sì, hai indovinato-

-Sembra passata una vita intera- ammisi piano. Il cuore però batteva piacevolmente quei lontani ritmi.

-Non vuoi ballare?- mi chiese, lo sguardo grigio luccicante di promesse e desideri proibiti.

Lo fissai senza sapere cosa fare, cosa dire, neppure cosa pensare. Albert. Avrei dovuto pensare ad Albert. C'era lui tra di noi. Mio marito e il suo migliore amico. Eppure in quel momento Albert pareva simile a un fantasma.

-Questo è solo un ballo- insisté Herman.

Era davvero solo un ballo? Se Albert assomigliava a Lotte, Herman era simile a me. Troppo simile forse. Ma l'anima gemella è uguale a noi? Oppure è diversa? Forse complementare? Non lo sapevo, non potevo neppure provare a indovinare.

Presi la sua mano. Herman sorrise, quel sorriso che riservava a pochi eletti, così diverso da quello di Albert che era per tutti. Lasciai che mi conducesse con lui in quella danza. Il suo corpo che aderiva al mio, come se fosse nato per quel singolo momento. Eravamo perfetti insieme, era incantevole ballare con lui.

-Non ti ho mai dimenticata- sussurrò Herman, stringendomi più forte. Le sue parole mi sfiorarono l'orecchio per poi dirigersi fino all'anima, dove s'insediarono. Le sue mani accarezzano la mia schiena, dolcemente.

Avrei dovuto replicare? Non ne avevo la forza. Mi lasciai condurre ancora.  E poi accadde.

Mi baciò, lo baciai, ci baciammo. Non so cosa avvenne. Chi iniziò, chi pensò, chi resistette, chi si lasciò sedurre. Fu un tutt'uno. Le mie labbra bruciavano, pulsavano, tremavano. Il bacio non ci assettò, forse peggiorò la situazione. Mi sentivo più che mai simile a Lotte, più pulsionale, meno mentale. Sapevo che non ci sarebbero state conseguenze se mi fossi lasciata andare. Perché non mi sentivo in colpa? Perché il tarlo dell'ansia non mi divorava? Perché continuavo a baciarlo?

-Resta con me questa notte- sussurrò piano, allontanandosi di un passo da me –metterò una spada tra di noi- aggiunse e io sorrisi, riconoscendo la citazione. Aladino che mette una spada tra lui e la sua dama per proteggere il suo onore. Tristano che lo fa con Isotta. Le regole dell'amore cortese. Eravamo diventati una fiaba, una leggenda, un sogno. Qualcosa d'irreale, che in natura non può esistere.

All'epoca mi dissi che dovevo farlo, che stavo lì con lui per proteggere la mia famiglia, che era quello che mi aveva detto di fare mia madre e lei sapeva sempre cos'era la cosa giusta da fare. Oggi so che non è così. Io desideravo passare il tempo con lui. Era forse l'unica cosa che mi facesse sentire viva in quel mondo che andava in pezzi. Una luce tra le macerie.

-Va bene- cedetti. Soffocai il pensiero di Albert. Lui non era lì. Non ricevevo sue notizie da mesi.

Herman non nascose un sorriso. Mi porse la mano, che io presi e strinsi, come se fosse la mia ancora di salvezza. Le nostre dita s'incastrarono, lui mi attirò a sé. Gli buttai le braccia al collo e restammo abbracciati per un po'. Era piacevole sentire il suo corpo contro il mio. Era come sentirsi a casa.

Dormimmo vicini. Herman mi passò languidamente un braccio intorno alla vita, così il suo petto aderì alla mia schiena. Restammo così, il suo respiro contro la mia nuca, le nostre dita intrecciate. Due parti della stessa cosa. Come posso descrivere qualcosa che non conosce le parole? Semplicemente non posso.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Ci stiamo avvicinando alla fine della storia.

A presto!

La principessa e la cocotte: in amore e in guerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora