Non chiusi quasi occhio quella notte. Ci provai, ma ogni volta che stavo per scivolare nel sonno risentivo i baci di Herman, bollenti e delicati, che mi ustionavano la pelle. Era troppo. Mi sforzavo di pensare ad Albert, ma era inutile. Non ci riuscivo. La sua era un'immagine sfocata e traballante.
Herman era un amore impossibile... forse proprio per questo non voleva andarsene. Lui era con me anche quando non c'era... era una cosa bella, ma insopportabile. La notte lo sognavo, di giorno lo immaginavo. Eravamo immagini dolorosamente speculari.
La mattina successiva mi fissai allo specchio. Il rossetto rosso che brillava sulle mie labbra, in contrasto con la carnagione chiara. Lotte. Quel colore andava meglio a Lotte, era uno dei suoi colori. Il vestito era scollato, sottolineava il mio seno, lo faceva perfino sembrare più grande. Per il resto ero un disastro. Pesanti occhiaie, tremendamente pallida, un dolore pulsante alle tempie. Mi sentivo quasi mancare. Non potevo restare chiusa in camera, dovevo affrontare quella situazione che mi stava divorando viva. Fu così che, inspirato a fondo, uscii.
Non ero certa di trovare Herman a colazione. Non sapevo proprio come aveva reagito a ciò che era successo la sera prima. Entrai quindi nella sala da pranzo con il cuore palpitante. Lui non c'era. La gola mi si gelò. L'assenza di Herman mi cadde addosso come un macigno. Mi sforzai comunque di non darlo a vedere. Presi posto, diedi ordini alle cameriere, fui scortese. Perché dovevano sempre metterci tanto a portarmi la colazione? Perché parlottavano a bassa voce tra di loro? Mi criticavano forse? Perché Herman non c'era? E poi subito ricadevo nella tristezza e nello sconforto. Cosa mi stava succedendo?
Lotte entrò in quel momento. Il viso era grigiastro, l'espressione stanca. Indossava un abito blu scuro che la faceva sembrare vecchia.
-Dovresti riposare- le dissi.
-E tu hai confuso la mattina con la notte... come sei vestita?-
La ignorai. Non potevo spiegarle come mi sentivo, come mi facesse sentire bene essere vestita così, come mi circondasse di potere. Io volevo essere potente. Volevo essere bella. Volevo... non lo sapevo nemmeno io.
-Tua madre ti direbbe di correre a cambiarti e a togliere il rossetto- continuò -Lolò semplicemente si sentirebbe male- sorrise, complice -allora? Non sono più la custode dei tuoi segreti-
-Non ci sono segreti- mentii.
-Ne sei certa?- aggrottò la fronte.
-Certissima-
-Se lo dici tu- non aggiunse altro. Restammo in un silenzio assordante e pesante.
Rividi Herman solo a cena. Non appena entrai nella sala restai sorpresa. C'era solo lui. Niente Lotte, niente Julien, niente cameriere. Lo guardai confusa. Cosa ci faceva lì? Perché c'era solo lui? E come aveva fatto a sbarazzarsi di mia cugina. Notai che il tavolo era apparecchiato solo per noi. Il mio cuore fece un balzo.
-Volevo farmi perdonare- cominciò -tua cugina ha deciso di mangiare in camera per stare vicina a Roby... Julien ha già cenato... alle cameriere ho dato la serata libera- era chiaramente nervoso -ho pensato che sarebbe stato bello... e poi dovevo scusarmi- no, non aveva fatto quello per scusarsi... era una trappola. Un'imboscata. Voleva mettermi a mio agio e poi... no, ero paranoica.
-Non era necessario- sussurrai.
-Mi fa piacere-
Annuii, sforzandomi di sorridere. -Grazie-
Herman non replicò, ma fece un mezzo sorriso.
-Ehm, sai qualcosa dell'uomo del cimitero?- domandai, bisognosa di cambiare argomento.
-Nulla... sembra che sia comparso dal nulla... forse è davvero un vampiro- le ultime parole avrebbero dovuto suonare ironiche, ma mi misero i brividi. -Non pensiamoci- si affrettò a dire.
Annuii. Aveva ragione. Ero già abbastanza tesa così.
Mangiammo, parlammo di molte cose, tutte banali, tutte prive d'importanza. Quando terminammo Herman si alzò e si avvicinò al grafofono. Un istante dopo una leggera musica invase la sala. Lui mi porse la mano. Un ballo. Era una cosa così piccola. La presi. Accettai tutto ciò che non era stato detto. Ballammo, i corpi stretti, io che mi lasciavo guidare da lui. Era divertente... e non solo.
-Violett- sussurrò lui, le labbra che mi sfioravano i capelli.
-Oh Herman... non dovremmo- ma erano solo parole. Sciocche parole. La gola mi si strinse. Lui mi baciò. Tutto scomparve. Non ricordo esattamente cosa successe dopo. No, così sono poco precisa, in realtà dopo successero moltissime cose. Herman mi condusse nel salottino, dove potevamo stare più tranquilli. Non accese le luci. Non volevamo correre il rischio che qualcuno ci vedesse. E poi il buio era affascinante. Scivolammo sul divano, ci stringemmo, ci baciammo. Lasciai che affondasse le mani nel mio abito, le sue labbra che mi accarezzavano ovunque, le sue parole mi stordivano. Non mi spogliò, io non spogliai lui. Ci limitammo a quel gioco tra ragazzini, ben consapevoli di aver già superato un limite, ma sapendo che non potevamo superarne altri.
-Vieni via con me... andremo solo noi due... possiamo partire per gli Stati Uniti- mi sussurrò lui, all'improvviso.
Mi sembrò di tornare indietro nel tempo, di essere nuovamente la ragazza a cui Albert aveva fatto una proposta analoga. Fuggire con lui, rifugiarmi in Germania. Alla fine ero riuscita ad arrivare a Berlino come moglie.
-Non posso, lo sai-
-Io so solo che non posso vivere senza di te-
Era come rivivere la storia con Albert, come essere nuovamente oggetto delle sue attenzioni, solo che ora tutto era diverso. Era una situazione mille volte più delicata, più pericolosa, come camminare sul ghiaccio. Non avrei perso solo l'onore questa volta.
-Ti prego, dammi una possibilità-
-Non posso... ho un figlio- gli ricordai.
-Non è tuo... Julien non è tuo- mormorò disperato.
-Sì, ma è come se lo fosse-
Herman non parlò. Stava valutando disperatamente la situazione. Come l'abile stratega che era cercava di comprendere chi fossero gli alleati e chi i nemici. Sperava di trovare un punto debole nella mia resistenza, di farmi cedere in un qualche modo. -Potremo tornare a prenderlo in seguito- ma sapevo che era una bugia. Non ci sarebbe stato tempo una volta che Albert avesse scoperto tutto.
-Mi dispiace Herman- sussurrai. Parlargli così era un po' come morire. Non volevo farlo soffrire, non volevo che restasse bruciato dalle mie parole.
Lui mi fissò, il dolore nel suo sguardo grigio brillante di lacrime. -Albert è sempre stato troppo fortunato... lui non ti merita... ma la vita non è giusta- socchiuse gli occhi -non ti darò più fastidio- si alzò e mi lasciò nel buio della stanza. Ogni tanto rivedo ancora la sua figura snella, alta, che esce dalla porta e la chiude, lasciandomi nel dolore.
NOTE DELL'AUTRICE:
Ciao!
Cosa ne pensate della scelta di Viola?
A presto!
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La principessa e la cocotte: in amore e in guerra
Narrativa Storica(COMPLETA) Il seguito de "La Principessa e la cocotte" (è consigliato, ma non obbligatoria la lettura del primo volume) 1939. Viola sta per coronare finalmente il suo sogno d'amore con Albert. Le cose però non si riveleranno semplici. Venti di guerr...