Me lo sentivo che prima o poi il mondo le sarebbe crollato addosso. C'erano tutti i segnali, bastava solo interpretarli e a quanto pare solo io c'ero riuscito. Il suo atteggiamento indifferente, la testa bassa ma soprattutto il suo sguardo vuoto, da perdente, mi innervosivano.
I suoi occhi. Non potevo dimenticarli anche se lo avessi voluto, perché erano gli stessi che avevo visto sulla mia faccia, tanto tempo fa. Era questo che mi faceva incazzare ogni volta che la incontravo in quel periodo: un odio verso di me che sfociava in odio verso di lei. Quella non poteva essere Pulce.
Forse la sua era tutta una messinscena per fare la vittima davanti a me; i ragazzi mi avevano messo in guardia: "È una gatta morta, fa apposta a non considerarti perché vuole che tu l'attacchi per prima, così poi te lo rinfaccia". Sia Alex che Nero mi avevano ripetuto quelle cose ma per me era difficile crederlo. Certo, se era tutta una farsa, recitava davvero bene. Ma quegli occhi...
Decisi di seguirla; ero curioso di metterla alla prova per capire meglio cosa le frullasse in testa ed ebbi la mia occasione quando quel giovedì mattina la trovai, dietro segnalazione di Elia, sul tetto della scuola completamente sola.
La Pulce di un tempo avrebbe approfittato del fatto che anche io ero solo per seccarmi e invece continuò a trattarmi con indifferenza. Provai ad attaccarla con parole dure, sperando in una sua reazione ma niente: lei continuava a starsene a testa bassa, incassando ogni cosa che dicevo. Non stava fingendo o non si sarebbe dimostrata così sottomessa verso di me. Quell'atteggiamento mi infastidiva ancora di più: mi irritava quel suo non reagire ma prenderla persa, il suo abbandonarsi. Già, mi faceva incazzare sopra ogni altra cosa. Forse avevo esagerato con quelle frasi e anziché aiutarla, rischiavo l'effetto contrario. Finsi di andarmene ma rimasi dietro la porta: temevo di averla spinta a fare una stupidaggine. Per fortuna tornò in classe. Senza saperlo, aveva solo rimandato la sua distruzione di qualche giorno.
Lunedì dopo il rientro avevo passato il resto del pomeriggio con i miei amici: a causa del brutto tempo avevamo lasciato le moto in garage e ci eravamo trovati in un bar non lontano da casa mia. Quando smise di piovere, Alex propose di andare a fare un giro, tanto per prendere una boccata d'aria e fare un tiro.
La vidi per caso: Pulce era sul ponte di ferro rannicchiata a terra, fradicia e infreddolita dalla pioggia che era caduta per tutto il pomeriggio. Ci misi un po' a riconoscerla, data la poca luce e il viso nascosto dai capelli fradici. Stavo parlando con Alex quando i nostri sguardi si incrociarono e mi interruppi. Per un attimo, i suoi occhi avevano gridato "aiuto", tornando subito dopo a nascondersi dietro la frangia bagnata e appiccicata alla fronte. Provai pietà per quella ragazza.
- Che ti ha preso, Prinz? - domandò il mio amico passandomi una mano davanti agli occhi.
- Voi andate. Ci sentiamo più tardi - esclamai.
I ragazzi mi guardarono sorpresi. - Che hai? - chiese preoccupato Cico.
- Ho una cosa da fare. Vi ho detto di andare, ci sentiamo stasera - risposi scocciato. Lanciai un'occhiata a Pulce: era ancora là immobile e aveva nascosto di nuovo la testa tra le braccia.
Alex seguì il mio sguardo. - Andiamo ragazzi - esclamò improvvisamente facendo un cenno con la testa. Gin, Bite e Cico mi salutarono e si incamminarono. Alex si avvicinò e domandò sottovoce: - È lei, vero? -
- Non so - risposi evasivo - ma non farne parola -
- Capito. Non vedo, non sento, non parlo - rispose allontanandosi insieme agli altri.
Mi avvicinai a Pulce, provai a parlarle ma niente. Continuava a fissarmi in silenzio con quegli enormi occhi sofferenti e sporchi di trucco colato via. Le diedi il mio giubbino e lei, improvvisamente, si abbandonò completamente contro di me: non sapevo cosa fare ma rimasi là a consolarla. Quando si riprese, si staccò da me come terrorizzata e la portai in un bar lì vicino. Parlammo a lungo quel pomeriggio e scoprii alcune cose su di lei che non pensavo affatto. Quello che mi sorprese di più fu quando mi parlò del suo sogno: Pulce aveva dei progetti con le sue amiche, voleva diventare famosa ma aveva perso la fiducia in sé stessa.
Le diedi una strigliata per farla tornare con i piedi per terra, convincendola che non poteva mandare tutto a quel paese; quel rimprovero non era tanto per lei ma per me: per un solo istante, volevo sentirmi migliore di un altro perdente. Pulce mi ascoltò con attenzione e finalmente sorrise.
***
Pensavo di avercela fatta ma non fu cosi: quando mi passò accanto a scuola mi accorsi che era tornata a fingere, come se quel pomeriggio passato insieme non fosse mai esistito. I suoi occhi si erano di nuovo spenti, il nero delle sue iridi era tornato opaco.
Possibile che le sue amiche non se ne fossero accorte? Possibile che proprio io, completamente estraneo alla sua vita, vedessi più in là di chi le era sempre stato vicino? Forse perché lei era così simile a me. Rivedevo in lei il mio stesso desiderio di autodistruzione, anche se per lei una soluzione esisteva mentre per me no. Io dovevo rimanere solo mentre lei poteva ancora uscire da quel tunnel. Dovevo impedirglielo. E in fretta.
Finite le lezioni, la vidi discutere con le amiche e rientrare in scuola. Cosa stava architettando? Dissi ai miei amici che sarei rimasto anche io e tornai dentro, scorrazzando il mio personale Fido alla ricerca della ragazza. Elia mi informò di aver visto Pulce dirigersi sul tetto della scuola da sola. La cosa mi insospettì e la seguii.
Le dissi ancora le stesse cose ma lei non faceva che ripetermi scuse stupide che aveva imparato a memoria per giustificarsi con sé stessa. Era messa peggio dell'altra volta: era completamente assente. Dovevo riuscire a riaccendere la luce dentro i suoi occhi. Dannazione, quel bagliore era ancora vivo in lei, non poteva essersi già spento del tutto. La presi per le spalle e la chiamai. -Sarah! - Non so nemmeno io cosa speravo di ottenere ma ero talmente incazzato con lei che le gridai ciò che nessuno mi aveva mai detto quando era toccato a me. Capii in quell'istante che la rabbia che provavo per lei era in realtà rabbia che covavo per me stesso.
All'improvviso vidi una scintilla nei suoi occhi tra le lacrime. Il torpore stava iniziando a sciogliere il ghiaccio. Insistetti ancora: era scossa, stava iniziando a capire cosa fosse successo e iniziò a piangere. La luce: la vidi. C'era davvero luce nei suoi occhi. Calda e piena di speranza, tanto che ne percepivo il calore. Si stava risvegliando.
- Guarda che sono sveglia, Pringles - esclamò stizzita.
Erano mesi ormai che non mi chiamava più con quello stupido nome e per la prima volta fui contento di udirlo. Scesi con lei in biblioteca per andare a recuperare la giacca che le avevo prestato e tra una chiacchiera e l'altra, la sua ultima domanda mi spiazzò: - Perché mi hai aiutata? -
Cosa dovevo dirle? "Per farti tornare in te prima che fosse troppo tardi? Per non commettere il mio stesso errore? Perché, in fondo, mi mancava qualcuno che si interessasse così tanto a me... oppure semplicemente perché noi due eravamo uguali?"
Non risposi, era più facile tacere. Neppure io riuscivo a dare una risposta a quel mio strano comportamento.
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I primi dubbi, i primi tormenti... l'essenza di Sarah sembra aver iniziato a scalfire la dura roccia del cuore di Prinz.
~*~Qualcosa in lei lo attrae ma non riesce a darsi una spiegazione
~*~
State tranquill*, ogni risposta a tempo debito!
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Soundtrack:Love
Romance[COMPLETA] "Lui era un ragazzo, lei era una ragazza. Niente di più ovvio". L'avete già sentita, vero? Vi è mai capitato di ascoltare una canzone alla radio e percepire una certa familiarità? Quella che avete appena ascoltato, in realtà, è qualcosa...