Passarono i giorni e con essi i mesi. Ogni mattina, quando mi guardavo allo specchio, vedevo il vecchio me stesso scomparire dietro i lividi e le cicatrici.
In poco tempo avevo assorbito al pieno le regole e il modo di vivere del gruppo.
A scuola iniziai a girare con il gruppetto di Alex come secondo, fino a che non ne divenni io stesso il capo: ero riuscito a dimostrare agli altri chi ero e Alex, in debito con me per avergli salvato la vita, decise di diventare mio secondo e cedermi il suo gruppo.Anche Nero si accorse delle mie capacità e in meno di un anno divenni il suo vice insieme a Riot, il mio eterno rivale, il cui odio verso di me aumentava ogni giorno sempre di più.
Il gruppo era diventato davvero la mia nuova famiglia; quella vecchia, formata da mio padre e mia madre, era ormai caduta in pezzi. Ogni sera uscivo e tornavo a casa sempre più tardi per non sentirli litigare o per non farmi riempire di insolenze. Erano convinti che fumassi, che mi drogassi.
Assurdo, mai fatto nulla di simile anche se mi avevano chiesto di provare. Ero cambiato, questo lo vedevano ma non ne capivano la ragione finché una domenica mattina non riuscii più a trattenermi e ruppi definitivamente con loro.Ennesimo litigio, ennesime parole. Sempre quei discorsi, quelle prediche. Poi mia madre nominò quella parola che non volevo più sentire, che avevo volontariamente dimenticato una notte di tanto tempo prima: il basket.
- Perché non torni a giocare a basket? Non eri così prima dell'incidente! - mi gridò quasi scoppiando in lacrime.
Povera donna. Solo ora si era accorta del mio cambiamento? Mi innervosii, le risposi male. Mio padre intervenne in sua difesa. Ecco, ci mancava solo l'altro perdente. Volarono parole pesanti, offese e infine la mia confessione.
- Io odio il basket! Non voglio tornare in quella palestra del cazzo! Ora ho dei veri amici che mi rispettano, che mi accettano. È questa la vita che voglio! - gridai.
Mio padre cercò di farmi ragionare. Reagii dicendo cose di cui solo dopo me ne sarei pentito.
- Tu sei il perdente papà, tu lo sei! Non io! Io ho tutto! - gli gridai.
Era pronto per darmi uno schiaffo, lo lessi in quegli occhi che tante volte mi avevano guardato con amore e orgoglio e che ora erano spenti, vuoti. Non era mai stato tipo da botte: sapevo che non lo avrebbe mai fatto. Ci fu un attimo di silenzio.
- Me ne vado - dissi annoiato.
- Esci da quella porta e non rientrerai più come mio figlio - mi minacciò.
Uscii mostrandogli il dito medio e sbattendo la porta dietro di me. La voce di mio padre che mi richiamava dentro, i lamenti e il pianto di mia madre a fare da sottofondo.
Non me ne fregava un cazzo. Loro non erano più in grado di capirmi. Solo Nero ne era capace.
Crebbi in fretta in quei mesi. Il mio capo come modello da seguire. Il sostituto di mio padre. Tornavo a casa solo per dormire e quando si calmò la situazione, anche per i pasti, a volte. Ero ancora minorenne, non potevano cacciarmi di casa.
Presto capirono che dovevano lasciarmi stare, che erano diventati impotenti con me. Non potevano più fermarmi. Era troppo tardi per comandarmi, per tentare di esercitare la loro potestà su di me. Tornavo a casa quando volevo, facevo quello che volevo. Mi illudevo di essere felice.***
Il basket era un capitolo definitivamente chiuso. Lo avevo chiuso quella notte pugnalando un pallone. Mi era capitato di rivedere qualche mio ex compagno; qualcuno si era pure avvicinato chiedendomi di tornare e io gli avevo risposto massacrandolo di botte. Odiavo tutti quegli stupidi ragazzini. Se la tiravano come pochi. Credevano di essere i più fighi e un tempo credevo di esserlo anche io. Anche se il gruppo era sempre presente, non ero ancora riuscito a riempire parte di quel vuoto che era ancora dentro di me e in cui io avevo stipato l'odio.
Ero stato abbastanza abile a convincere me stesso di essere davvero felice, che non potevo aspettarmi un futuro migliore. Tsè. Un futuro sprecato. Questo era quello che tutti mi bisbigliavano alle spalle. Ma io non li ascoltavo e mi nascondevo dietro la maschera che mi ero costruito, dietro le spalle forti dei miei compagni, dietro i pugni e le parole.
Attaccavo chiunque mi ripetesse quelle cose, chiunque mi rinfacciasse che quello non era il mio destino. Feci pure a botte con quel coglione del mio ex migliore amico. Quando rividi Andrea, per un attimo mi sentii gelare. Si era avvicinato a me con un mezzo sorriso, la faccia da bravo ragazzo che mostrava al mondo ma che con me non attaccava. Lo odiavo per quello che mi aveva fatto.
Si era comportato come gli altri, ripetendomi quelle parole ormai consumate e che non avevano più significato per me. Lo presi a botte.
- Stai alla larga da me, bastardo! - gli gridai dandogli un ultimo calcio e gettandolo a terra.
Andrea mi guardò incredulo mentre con una mano si pulì l'angolo della bocca sporco di sangue. Non avrei più dimenticato il suo sguardo spaventato e deluso; mi avrebbe per sempre accompagnato nei miei incubi notturni, quando trovavo il tempo di dormire.
- Non è questa la tua vita, Franz! - mi gridò alle spalle mentre mi allontanavo, ignorandolo insieme ai miei nuovi amici.
Si sbagliava come tutti gli altri: io non potevo avere altro dalla vita. Non c'era nessun altra via d'uscita. Mi ero dannato con le mie stesse mani. E poi, a chi sarebbe fregato di aiutarmi a uscire da lì, di venirmi incontro e mostrarmi un futuro migliore di quello che mi ero scelto, se davvero esisteva?
Nessuno.
Nessuno, finché non conobbi una ragazza di nome Sarah.
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Ecco a voi la storia di Prinz, alias Francesco Lorenzi.
Un ragazzo che aveva tutto dalla vita ma che, per uno scherzo del destino che non ha saputo affrontare, ha perso ogni cosa.~*~
Per quante volte abbia riletto questa storia, continuo a percepire il dolore e la solitudine di Prinz.~*~
Questa è solo una fiction ma la realtà dei nostri giorni ci mostra che storie come questa esistono davvero.~*~
La fine è vicina: riuscirà Sarah a salvarlo o affonderà con lui?~*~
Lo scoprirete nel prossimo capitolo!
Stay tuned!
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Soundtrack:Love
Romance[COMPLETA] "Lui era un ragazzo, lei era una ragazza. Niente di più ovvio". L'avete già sentita, vero? Vi è mai capitato di ascoltare una canzone alla radio e percepire una certa familiarità? Quella che avete appena ascoltato, in realtà, è qualcosa...