Presi il primo autobus che passò e vi salii sopra senza chiedermi dove mi avrebbe portata. Cosa mi interessava saperlo? Avevo sbagliato tutto, era colpa mia. Tutto era un mio errore. Stare seduta in quel posto freddo era ancora peggio: mi sentivo soffocare. La gente attorno mi irritava. Le vecchiette che sparlavano, i ragazzi giovani che mi guardavano. Mi sentivo un bersaglio.
Scesi insieme a un gruppo di persone e mi incamminai nel flusso di gente. Ombrelli aperti, pozzanghere per terra: stava piovendo. Cosa me ne fregava? Volevo che l'acqua mi sciogliesse come la strega cattiva del mago di Oz. Perché io ero cattiva, dato che avevo sbagliato tutto.
Improvvisamente, in mezzo a quella folla a contatto con altri corpi, persi la consapevolezza di me.
Ero un manichino, un automa che vagava per la città, sotto la pioggia gelida che mi inzuppava i vestiti rendendoli sempre più pesanti: una zavorra insopportabile per il mio debole fisico. Non avevo rabbia, non avevo tristezza. Non avevo più nulla, né lacrime, né solitudine. Mi avrebbe cercato qualcuno? Che mi importava. Le gocce di pioggia incessanti scendevano sul mio volto: erano le lacrime amare che non riuscivo a buttare fuori. Il pensiero di ciò che avevo perso, mi colpì in un attimo di lucidità: sarei stata bocciata. Addio amiche, addio sogni. I miei poi mi avrebbero tolto tutto: forse sarei finita in una qualche scuola privata e mi avrebbero impedito di continuare a suonare.
Era troppo per la mia immaginazione. Mi fermai in mezzo alla folla e mi abbracciai, quasi in cerca di un gesto affettuoso che non sarebbe mai arrivato. La gente che mi passava accanto non si accorgeva di me. Qualche bisbigliato "è pazza" e qualche sguardo perplesso furono gli unici complimenti che ricevetti, segni che qualcuno mi aveva notata. Non potevo stare lì, non volevo. Era perfettamente inutile, così come quello che stavo facendo.
Iniziai a correre pensando ingenuamente che gli incubi non mi avrebbero seguita. Raggiunsi un ponte ben lontano dal centro e là mi rannicchiai a terra, con le mani contro la testa, nel disperato tentativo di allontanare i miei pensieri. Non so quanto tempo rimasi là: quando alzai la testa vidi che era già buio e che aveva smesso di piovere. I rumori della città erano lontani e iniziavo ad avvertire freddo poiché ero fradicia. Eppure volevo restare lì, non volevo tornare a casa. La mia forza era crollata ed era stata spazzata via come semplice polvere. Ero vulnerabile e quell'idea macabra, che mi era passata per la testa sul tetto della scuola, si ripresentò.
Udii dei passi e delle risate. Fino a un attimo prima non c'era nessuno nei paraggi e ora stavano arrivando i rompiscatole. Girai appena la testa in direzione di quei rumori e vidi materializzarsi un gruppo di ragazzi. Tra di loro riconobbi subito Prinz: era proprio l'ultima persona che volevo incontrare quel giorno ma i nostri sguardi si incrociarono e lui mi riconobbe. Lo capii dal modo in cui spalancò gli occhi sorpreso appena mi vide. Fu inutile girare la testa dall'altra parte: ormai mi aveva individuata. "Non preoccuparti Sarah" dissi tra me e me "fingerà di non averti vista come al solito". Lo sentii parlottare con gli altri ma mentre i suoi amici tirarono dritto, lui venne da me. "Vattene" pensai con tutte le mie forze.
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Soundtrack:Love
Romance[COMPLETA] "Lui era un ragazzo, lei era una ragazza. Niente di più ovvio". L'avete già sentita, vero? Vi è mai capitato di ascoltare una canzone alla radio e percepire una certa familiarità? Quella che avete appena ascoltato, in realtà, è qualcosa...