Prologo

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Corro, senza fermarmi.
Nonostante i tacchi, il fiato corto, la tachicardia, le lacrime, il terrore.

Non può accadere così.
Andrew non potrebbe mai farmi una cosa simile. Mai.

«Fatemi entrare» emetto con un sottile strato di voce.

I suoi tirapiedi continuano a bloccare la porta, ignorandomi completamente.

«Sapete chi sono!»

Mi butto su di loro per tentare di superare il blindato muro di pietra, ma la loro spinta mi fa cadere all'indietro.

Ritento.

«Voglio vederlo! Non potete impedirmelo!»

Ci riprovo ancora e ancora, ma finisce sempre allo stesso modo.
Le mie lacrime sono sparse in vari punti del pavimento, il tacco della mia décolleté sinistra è ormai fuori posto, così come la mia anima.
Mi rialzo ugualmente, stringendo i denti, e finalmente la figura di quella donna compare.

Se non la conoscessi, se non avessi mai toccato con mano la sua rigidità, la sua arroganza e il suo autocontrollo, stenterei a credere di trovarmi di fronte a una madre che ha perso un figlio.
Mi ripulisco il viso celermente, preda di quel moto di orgoglio così familiare in sua presenza.

«Non potete impedirmi di vederlo» protesto con quel che rimane della mia voce.

Non riesco a credere che in un momento simile abbia ancora la forza di schernirmi con il suo altero sorrisetto.

«Cosa pensi di vedere?»

Esito. Come mai prima.

«È...» biascico. « Lui è...»

Non riesco a dirlo.
Non posso associare il suo nome alla...

Morte.

«Non è possibile. Si stava riprendendo.
Ieri era felice. Abbiamo parlato del matrim—»

«Non ci sarà nessun matrimonio.»

Chiude il discorso con la freddezza che la contraddistingue. E sospira, come se stessi aggravando la situazione.

«Myra, vedi di tornare in te. Come puoi celebrare un matrimonio senza uno sposo.»

Il ghiaccio dei suoi occhi mi penetra in ogni fibra del corpo. Non riesco a pensare, figuriamoci contrastare la sua logica.

Senza.
Ha davvero pronunciato questa parola?
Non è reale: continuo a ripetermelo.

«Voglio comunque vederlo» sibilo con i rimasugli di ostinazione che mi sono rimasti.

Faccio un passo verso le guardie alla porta, e di fronte all'ennesimo rifiuto sono sul punto di dare libero sfogo alla mia furia.

«Volevo risparmiartelo, ma se proprio non puoi farne a meno», batte sul vetro della finestra e mi fa cenno di avvicinarmi.

Faccio come dice, per la prima volta.
Nonostante tutto, non me ne pento.
Dovevo vederlo con i miei occhi, anche se non me lo toglierò più dalla testa.
Anche se quel corpo sbiadito non è più il suo, il cuore ha smesso di battere e il suo sorriso ha smesso di illuminare la stanza.
Non me ne pento.

Il lenzuolo bianco risale il suo corpo fino a coprirlo completamente, e io chiudo gli occhi. Lascio andare le lacrime silenziose e dipingo la sua immagine con i nostri ricordi.
Voglio ricordarlo com'era veramente, con la barba sempre troppo curata e quello sguardo che mi implorava di liberarlo dalla gabbia in cui era cresciuto.
Mi esce un sorriso: ora può finalmente volare via.

Anche se, in quel volo, si porterà via una parte di me.

𝐃𝐎𝐖𝐍 𝐓𝐎 𝐓𝐇𝐄 𝐁𝐎𝐍𝐄𝐒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora