18. Make me your villain, until I'm back

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Eros


«Fammi indovinare: pessima nottata.»

«La tua voce non migliora la situazione», mi volto verso Rian con l'evidente scompostezza di chi ha dormito in ufficio.
Recupero la tazza di caffeina che tiene tra le mani e ne annuso il contenuto; alzo subito un sopracciglio, forse non ha inteso che l'aggiunta non era una richiesta.

«Quale lettera di corretto non era chiara?» mi lamento abbandonandomi stancamente sulla poltrona in pelle.

«Ho pensato che avresti preferito essere lucido per questa.»

La busta che mi getta sulla scrivania ha tutta l'aria di qualcosa che non migliorerà la giornata, e fa ritardare i miei propositi di correggere il caffè con il pregiato whisky di riserva che tengo ben custodito.

Bevo un sorso e gli rivolgo un'occhiata.
«Che cos'è?»

«Non ne ho idea, ma viene dall'ufficio di Gisele Hart» chiarisce.

Basta quel nome ad affossare una giornata già nera fin dalle premesse.
Quella megera è esclusiva portatrice di cattive notizie.

«Immagino non sia rimasta contenta dell'accordo tra me e Olsen, come dal mio rifiuto di lavorare per lei, ma da qui a mandarmi lettere minatorie... Pensavo che avesse più stile, la dannata regina.»

Smetto di sorridere nell'esatto istante in cui estraggo i documenti.

«Fottuta carogna», è il mio solo pensiero.
Non me l'aspettavo.
Non mi aspettavo questa cazzo di mossa.
La verità sarebbe dovuta bruciare fino all'ultima pagina, fino all'ultimo frammento del suo passato.

«Come diavolo ha fatto a scoprirlo?» stringo le pagine mentre le consumo con gli occhi una a una. Alzo il telefono dopo un solo squillo: so perfettamente di chi si tratta.

«Mi chiedevo se avessi già ricevuto il prezioso regalo che ti ho fatto recapitare.»

L'ennesima voce che non avrei dovuto sentire di prima mattina, dopo la serata passata e la nottata appena trascorsa.

«Se intendi la minaccia, è arrivata forte e chiaro.»

«Vedilo più come un incentivo ad accettare la mia proposta», il suo tono perentorio è insoddisfacente quanto il caffè incontaminato che sto bevendo.

Non si tratta di noia o mal riposto risentimento, l'aquila reale sta ancora cercando di buttarmi addosso il lavoro di suo figlio.
Con un'insistenza che rende la faccenda più sospetta.

«Incentivo?», lascio uscire un ghigno pieno di amarezza. «Ti sei data piuttosto da fare. Mi domando perché ti stia tanto a cuore che sia io a occuparmi delle storie irrisolte di tuo figlio.»

La sua risata graffia le pareti del mio già scontento apparato uditivo.

«A quanto so, sta molto più a cuore a te.
Non è forse questo il motivo della tua recente frequentazione? Le mie congratulazioni, una coppia ben riuscita. È sempre un sollievo ritrovare tutto al proprio posto

So perfettamente a quale posto si stia riferendo: quello che ritiene appartenermi, quello che apparteneva a mia madre.

«Lasciala fuori», è un ordine e un avvertimento.

«Dipende da te» mi restituisce, con la tranquillità di chi sa di avermi in pugno.
«Ti aspetto nel mio ufficio tra mezz'ora per definire i dettagli.»

Riaggancio, i miei occhi si soffermano ancora sui fogli che ho tra le mani, sul viso sofferente della donna nella fotografia.
La mia donna, la mia Myra.
Li accartoccio con violenza e li lascio cadere dritti nel cestino.
Non è un'opzione, per quanto mi riguarda ce n'è solo una e so già che mi costerà più di quanto voglia immaginare.

𝐃𝐎𝐖𝐍 𝐓𝐎 𝐓𝐇𝐄 𝐁𝐎𝐍𝐄𝐒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora