8. If you go through hell, bring along an escape plan

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Eros


Supero la soglia ed esito.
Non mi sorprende l'assenza di luce, il totale silenzio, o la franchezza della normalità apparente che circola in questa stanza da quasi due settimane.
Ciò che più mi rattrista è la vulnerabilità di questa donna che si è trasformata nel fantasma di se stessa.

Nella strada per arrivare a lei, mi fermo a contemplare tristemente i piatti intatti.
Anche oggi si prospetta la solita protesta contro la vita. L'osservo con la stessa rassegnazione con la quale ho esaminato la sua cena.
Non c'è quasi differenza.
Se ne sta ogni maledetta ora a fissare il vuoto fuori dalla finestra, aspettando chissà quale segno divino.

Svegliati, Myra.
Nessuna divinità caritatevole ti darà indietro ciò che hai perso.
Andrew non tornerà.
Arla non tornerà.

Ti urlerei queste parole se gli strizzacervelli non mi avessero intimato di andarci piano e rispettare i tuoi tempi.
Loro la chiamano nevrastenia o esaurimento emotivo, io lo chiamo deficit di vita.
Ha perso l'ultima cosa che la legava ancora a questo mondo, l'amore più grande che abbia mai conosciuto e la necessità di trovarvi un senso. Si sta lasciando andare, perché ormai non ha più nulla da perdere.

Qui dentro è tutto così dannatamente immobile.
Mi inginocchio vicino alla poltrona su cui è rannicchiata e scruto con lei la sola forma di movimento al di là della finestra.
Se non altro la pioggia tiene la sua mente occupata. Quando è concentrata in questo modo, i suoi occhi non versano una sola lacrima.
Forse, in quella sua mente sconnessa, crede che il cielo pianga per entrambi.

Ogni istante che mi perdo a guardarla la mia inutilità mi presenta il conto.
Allungo la mano per sentirle la fronte e la scaccia con prontezza, come se stesse aspettando una mia mossa.
Accetto anche questo, pur di avere da lei una reazione o un briciolo di emozione.

«Giusto. Sono ancora il lupo cattivo» commento, alzandomi in piedi.

E in quella sua mente sconnessa mi considera uno dei colpevoli.
Colpevole di aver richiamato l'attenzione sul flebile cuore di Arla.
Colpevole di aver reso tangibile la sua morte.

«Se davvero lo fossi, non saresti così libera di crogiolarti nel dolore» mormoro tra me come mi sono abituato a fare.

Lei non parla, e se lo fa, si avvale di monosillabi per spendere il minor quantitativo di energie.
È la copia robotica dell'originale, un'anima meccanica che agisce sotto comando.
Una bambola di pezza con un foro sulla parte sinistra del petto che attende inerme che la sua imbottitura lasci il suo corpo.

Il che è un vantaggio, da un certo punto di vista.

Mi abbasso e avvolgo le braccia intorno al suo corpo agonizzante.
Il mio petto premuto sulla sua schiena ricerca disperatamente il battito del suo cuore.
Non voglio che capiti una seconda volta.

Non importa quanto diciamo a noi stessi di essere forti. Non importa quante volte lo dicano gli altri.
L'essere umano è geneticamente predisposto a cambiare, soffrire e perire.
Abbassare la guardia non è concesso.

«Non ti lascerò andare, qualsiasi decisione tu abbia preso» le soffio tra i capelli.

Voglio che sia chiaro: anche io sono un dannato guerriero che non ha intenzione di lasciare le cose al caso.

Myra segue il copione.
Non si scompone, non accenna battute pungenti, si limita ad affondare le unghie sui dorsi delle mie mani. E io la lascio fare, se così riesco a fare uscire il dolore che non vuole più esprimere.
Se così riesco a sottrarglielo.

«Toglile le mani di dosso.»

La nevrotica bionda fa la sua entrata e mi elargisce il solito saluto pieno di garbo.

𝐃𝐎𝐖𝐍 𝐓𝐎 𝐓𝐇𝐄 𝐁𝐎𝐍𝐄𝐒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora