17. Pitiful. Vulnerable. Helpless.

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Myra



«Non stai accelerando troppo i tempi?»

Dopo un'intera settimana di lavoro non stop, indovinare l'argomento delle sue perplessità dovrebbe risultare piuttosto semplice.
Se non fosse per lo sguardo insoddisfatto che Leila sta accuratamente indirizzando a Eros.

«Sto solo cercando di riprendere i soliti ritmi. Non ho il piede sul freno, ma non ti preoccupare non ho intenzione di spingere fino in fondo l'acceleratore» la rassicuro, puntando lo sguardo nella sua stessa direzione.

Il mio discorso vale per entrambi, il lavoro e quest'uomo che mi sta aspettando appoggiato alla sua auto sportiva.

«Mi arrendo,» mi rivolge un sorriso che non oscura completamente la sua apprensione, «ma devi assicurarmi che ti fa stare bene.»

La mia attenzione è tutta su di lei e sulla sua mano che mi accarezza l'avambraccio con premura.

«Mi fa stare bene, Leila. Così tanto che quasi mi spaventa» confesso, appoggiando la mano nella sua.

È sul punto di dire qualcosa, probabilmente l'ennesima confortante considerazione di poter fare dietro-front.

«E non voglio rinunciarvi.»

Non gliene do modo, perché nonostante le inconcepibili coordinate della relazione tra me ed Eros Hart, non sono più così sicura di potermene andare senza voltarmi indietro.

«Allora, ti lascio volentieri alla tua serata», il suo volto si distende mentre mi consegna un altro dei suoi caldi sorrisi. «Ci vediamo domani.»

Ritorno a concentrarmi su di lui non appena Leila si incammina nella direzione opposta.
Non mi fa piacere ritrovarlo distratto dal telefono, mi aspettavo di incrociare il suo sguardo, di confermare che non mi avesse perso di vista un istante.
Alza il viso verso di me e il telefono mi vibra nella mano; gli sorrido non appena intravedo il suo messaggio "Via libera?" sullo schermo e mi affretto a raggiungerlo.

«Non sapevo che avessi bisogno del nullaosta di Leila» commento, divertita.

«Io no, ma tu potresti», mi sistema un bacio casto sulle labbra. «Se ti fa stare più tranquilla, diventa una cosa importante anche per me.»

Ecco ciò che mi spaventa.
Frasi minime, dette con estrema naturalezza che insinuano aspettative che preferirei non nascessero.
Non abbiamo definito nulla di ciò che sta succedendo tra noi, viviamo di attimi così come ci siamo ripromessi di fare.
Ma, dal mio punto di vista, non è possibile se mi ritrovo sovraccaricata di premure di questo livello. Quelle che sottendono un legame più profondo.

Metto a tacere la spontaneità, la necessità di fare ciò che avrei già fatto se non mi trovassi di fronte al mio luogo di lavoro.
Mi sistemo velocemente in auto quando mi apre la portiera e lo seguo con gli occhi con impazienza finché non fa lo stesso.
Si volge verso di me per dire qualcosa, ma non gli lascio il tempo di elaborare una parola, le mie labbra premono sulle sue.
Libero i sentimenti del momento e mi concedo alle sensazioni di sentire le nostre lingue intrecciarsi, i nostri respiri fondersi insieme, incoraggiata dai finestrini oscurati dell'auto che mi persuadono che rimanga tutto rinchiuso qui dentro.

Mi allontano per prendere fiato e i suoi occhi scuri mi risucchiano dentro di lui.

«Vieni a cena con me questa sera» propone, anche se sappiamo entrambi che in questo momento il cibo è l'ultimo bisogno della lista.
È la stessa domanda di mesi fa, ora sa di poter contare su una risposta diversa.
Glielo leggo negli occhi.

«È una domanda o un'affermazione?», sorrido.

«Qualunque cosa mi permetta di godere della sua compagnia, signorina Rivera» mi accarezza una guancia. «Per incentivarla ad accettare, le garantisco che sarà una serata speciale.»

𝐃𝐎𝐖𝐍 𝐓𝐎 𝐓𝐇𝐄 𝐁𝐎𝐍𝐄𝐒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora