27. Nothing torments you like your mind

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Myra



È stata una di quelle giornate in cui desideri solo metterti a letto e dormire.
Saltando la cena, se così guadagni qualche ora in più di beato riposo.
Questo era il piano, prima di rientrare nel mio appartamento e trovare una strada atmosfera da luci soffuse.

Per un istante temo che si tratta di Eros, ma poi vedo Andrew seduto sul sofà e tutto per mia fortuna rientra nella normalità.
O quasi. La sensazione che provo non è identificabile; sollievo e delusione si confondono insieme intrappolandomi sulla linea di confine.

Quando lo raggiungo e non mi rivolge uno sguardo, capisco che non c'è davvero nulla di normale nel suo essere qui.
Se ne sta pensieroso con le dita intrecciate appoggiate all'altezza della bocca, come se qualcosa lo avesse sconvolto.
Sposto gli occhi sul tavolino e il suo sguardo perso nel vuoto acquista un senso.
L'ecografia non mi dà scampo.

Mi siedo sulla poltrona di fianco a lui, continuando a osservarlo.
Trattengo il fiato quando si toglie le mani dal volto in procinto di parlare.

«Non volevo frugare tra le tue cose. Stavo cercando delle candele per farti una sorpresa», abbozza un sorriso dispiaciuto puntando gli occhi sulla fotografia. «Ti prego, dimmi che non si tratta di nostro... figlio.»

«Figlia» lo correggo.

Di getto si copre il viso con le mani, respirando profondamente.

«Non avevo intenzione di nasconderlo. Volevo solo lasciar passare un po' di tempo prima di parlartene» anticipo.

Recupero la fotografia e ne accarezzo la superficie. Fa ancora così male.
«Il suo nome è Arla.»

«Com'è successo?», rimane con gli occhi bassi. Non capisco se sia arrabbiato, ferito... o se semplicemente stia cercando di rimanere calmo per paura di farmi star male.
È inevitabile, ogni parola e immagine mi riportano a quei momenti.

«Mentre uscivo dal lavoro, un'auto mi ha investita. Non c'è stato nulla da fare», preferisco raccontargli la versione più semplice e immediata. Rivivere quel periodo potrebbe farmi sprofondare nuovamente in quell'incubo.

Non mi aspettavo che una reazione simile da lui: il silenzio di qualcuno che non sa cosa dire, non sa come comportarsi per non infierire ulteriormente sulle mie evidenti ferite.

«Ti lascio ai tuoi pensieri.»

Mi alzo portando con me la piccola fotografia, ma mi trascina indietro avvolgendomi le braccia intorno, così dal nulla.
Non mi ha mai stretta così forte.

«Se avessi saputo... Mi dispiace, non avresti dovuto gestire questo dolore da sola.»

Non l'ho mai fatto.
La mia mente e il mio cuore sono in pace, cullati dai ricordi di quel qualcuno che mi è rimasto affianco ogni ora del giorno.
Non sono stata sola nemmeno per un momento, da quando l'ho conosciuto.
Questa è la verità.

«Ho imparato a conviverci» lo rassicuro, al meglio delle mie possibilità. Sono consapevole che sia quel tipo di dolore che non svanirà mai, ma il minimo che possa fare è continuare a sorridere. Per entrambe.

Si sposta all'indietro e mi accarezza una guancia.

«Vorrei chiederti molte cose, ma preferisco aspettare che sia tu a raccontarmele. Quando ti sentirai di farlo.»

Appoggia la fronte alla mia e un inaspettato flash mi riporta di nuovo a lui.
Cerco di non pensarci, di non vedere i sintomi di qualcosa che nella mia mente ha preso il via dall'ultima volta che l'ho visto. A distanza di due settimane, ogni volta che Andrew mi sfiora, lui mi invade la mente. Sento le sue carezze e i suoi baci come se fosse presente. Come se fosse al suo posto.

𝐃𝐎𝐖𝐍 𝐓𝐎 𝐓𝐇𝐄 𝐁𝐎𝐍𝐄𝐒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora