5. We all eat lies when our hearts are hungry

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Myra


Sistemo l'ultima bottiglia d'acqua e l'ennesimo giramento di testa della giornata mi intima di fermarmi.

«Concludiamo quest'ultima riunione e poi ti prometto che andiamo a casa a riposare», mi accarezzo il ventre come d'abitudine.

Questo gesto è ormai parte integrante della mia routine quotidiana, uno dei pochi rimedi che mi infondono un po' di pace.
Il mio corpo è continuamente a disagio, così come la mia mente.
Certo, per motivi diversi, ma il risultano è lo stesso: ogni giorno oscillo tra nausee, vertigini e sbalzi d'umore come si addice alla perfetta donna incinta.
E il fatto di doverlo nascondere non aiuta affatto.

«Dovresti essere a casa.»

Vorrei non riconoscere il tono perentorio di questa voce, come vorrei non dover ammettere che mi risulta familiare a distanza di un mese dal nostro ultimo incontro.
I miei occhi, tuttavia, non mentono.

«E tu dovresti avere un motivo per essere qui», aggrotto la fronte pervasa da una fastidiosa ipotesi. «Non puoi essere ancora nella Suite Presidenziale...?»

L'espressione serena sul suo viso è piuttosto eloquente.

«Non è possibile. Mi occupo personalmente delle esigenze dei VIP. Se fossi uno di loro, lo saprei» proseguo, incredula.

Eros Hart fa un passo verso di me e accosta il suo viso al mio.

«Rimarresti sorpresa di quante cose si possono ottenere con un minimo di persuasione» mi sussurra all'orecchio.

Lo spingo indietro con una mano e ritorno a guardarlo negli occhi.

«Questo non spiega perché tu sia nella sala riunioni. Pensavo che avessi smesso di fare lo stalker», riporto la mano al lato del corpo soddisfatta che lui sia tornato al suo posto. Distante da me.

Si raddrizza, infila le mani nelle tasche e assume quella sua molesta aria arrogante.

«Non era così che immaginavo di essere accolto dopo un mese di lontananza» commenta con sarcasmo.

«È stato uno dei mesi migliori della mia vita», mento con il sorriso più luminoso che riesco a riprodurre.

Mi aspetto il suo tono canzonatorio, invece sospira e si fa serio all'istante, come se gli avessi lanciato addosso la peggiore delle offese.
La sua mano raggiunge la mia guancia, mentre i suoi occhi scuri mi scrutano con apprensione.

«Ne dubito» afferma a voce bassa.

Non riesco ad allontanarmi.
Forse a farmi esitare è il calore delle sue dita.
O forse è l'ennesima disperata ricerca dei lineamenti di Andrew sull'unico volto che mi concede speranza e sollievo. Scaccio immediatamente la sua mano per riprendermi dall'illusione: lui non tornerà da me.

«Ce l'hai ancora con me per quel malinteso» sentenzia, alzando un angolo della bocca.

«Quale parte di nascondere di far parte della famiglia Hart è un malinteso?», gli riservo l'occhiata più ostile di cui sono capace.

«Non ne faccio parte.»

La sua voce è cambiata.
Sospira e allontana lo sguardo per tenere a freno un innegabile nervosismo.

«Non voglio fraintendimenti su questo punto» dichiara, tornando su di me.

È la prima volta che vedo dell'instabilità in questo presuntuoso uomo di quasi due metri. Un po' mi colpisce.

«Nessuno sapeva della tua esistenza, devi esserti impegnato molto... a nasconderti», sottolineo quest'ultima parola con soddisfazione.

Fa un ulteriore passo verso di me, il suo viso ripresenta la consueta facciata di superiorità.
«Nascondermi? Forse non conosci la famiglia Hart così bene come credi» ribatte, stizzito.

𝐃𝐎𝐖𝐍 𝐓𝐎 𝐓𝐇𝐄 𝐁𝐎𝐍𝐄𝐒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora