Carthago
Le sue palpebre riuscirono a smuoversi dopo quelli che parvero anni, e finalmente vide la luce sopra di sé. Non passarono, però, nemmeno tre secondi che subito il sul capo cominciò a girare e avrebbe anche rigettato, se solo avesse avuto qualcosa da digerire. Di fatto, il ragazzo non mangiava o beveva da veramente tanto tempo, fin troppo per un normale umano; eppure lui era vivo e vegeto, e parzialmente in forze.
Provò a muovere i suo arti, solo per rendersi conto dei fluidi d'acqua che percorrevano la sua pelle e che gli impedivano la velocità nei movimenti. Oltretutto, si stava muovendo ad una velocità inumana, contro corrente, e con ciò percepì le pinne e il corpo di un grosso animale che lo stava trasportando.
Quel semidio era condotto attraverso il mar Mediterraneo, a gran velocità, da un delfino anomalmente enorme.
"Vivi, giovane eroe. Vivi e vinci."
❈❈❈
Quando riprese coscienza il sole cocente di mezzogiorno gli si palesò violentemente alla vista, così come l'odore di salsedine. Vi era ancora il rumore del mare, ma meno insistente rispetto a qualche ora prima. In quel momento non si trovava più in acqua, ma su una superfice legnosa e oscillante che scoprì poco dopo essere una nave.
"Ehi! Il barbaro si è svegliato!"
In men che non si dica una sfilza di marinai si avvicinò al suo capezzale, per vedere quel giovane e bello sconosciuto approdato sulle loro sacre sponde.
"Cavolo, ma è un dio!"
"La nostra nave è stata benedetta da Era in persona."
"Le vendite saliranno alle stelle!"
Il ragazzo semplicemente richiuse gli occhi e grugnì, sentendo le sue corde vocali intorpidite e poco reattive. Si portò una mano alla testa, per percepire i suoi capelli incrostati e ricolmi di sabbia, tanto che la sua faccia mutò in un'espressione disgustata.
"Dove sono finito..."
"Ragazzo mio, ti stiamo portando alla corte della regina."
"La regina...? Intendi Era?" Chiese immediatamente lui alzandosi a sedere per osservare meglio il marinaio che gli aveva risposto. "Oh, certo che no. Siamo umili umani. Parlo della nostra regina."
"La vostra?" Chiese ancora più confuso, ma non ricevette risposta poiché il capitano della nave richiamò i suoi sottoposti, che tornarono a svolgere i loro ruoli. Invece gli si avvicinò questi, un grande omone dalla lucente pelle bruna e una grande cicatrice che gli passava per il viso. Lo guardò con disprezzo, per poi tornare al suo posto.
Il giovane non osò fare altre domande, avendo ben capito di dover tacere e starsene al suo posto accanto all'albero maestro, finché finalmente la nave non approdò in un enorme porto che egli aveva osservato un paio di volte da alcune cartine presenti nell'ufficio di Chirone, al Campo Mezzosangue; quello era il porto di Cartagine.
"Alzati." Ordinò il capitano, e legò dietro la schiena le braccia con delle manette d'acciaio; d'altronde, l'avevano capito tutti su quel vascello che egli non fosse umano.
Con uno spintone lo fece avanzare fino a farlo scendere dalla nave, e mentre gran parte dei suoi marinai si avviavano a portare il pesce verso i magazzini per venderli, l'omone e i suoi secondi in comando lo condussero da tutt'altra parte.
Uscirono dal porto per trovarsi in un'enorme piazza imbandita di mercati e botteghe d'artigianato, nella quale la popolazione locale passeggiava allegramente e comperava il necessario. I venditori urlavano e annunciavano ognuno i loro prodotti, di produzione casalinga, e il ragazzo si meravigliò della varietà di cibo, spezie ed opere d'arte presenti. I bambini ridevano e correvano fra le persone, che di volta in volta li osservavano con adorazione o fastidio. A presiedere il caos cittadino vi erano delle guardie reali, vestite d'armi lucenti e scudi bianchi.
I cittadini parlavano in una lingua simile al greco antico, per la grande sorpresa del semidio, nonostante fosse composta da persone con pelle di varie colorazioni di nero e bronzeo. Non indossavano nemmeno le vesti greche, ma tuniche lunghe o corte, bianche o colorate, a seconda dell'età e della casta sociale, e in testa molti portavano un particolare copricapo di origine fenicia.
Attraversarono il mercato con non poche difficoltà e cominciarono a salire una lunga scalinata perlacea e splendente sotto il sole luminoso. Erano diretti verso la collina della città, molto simile ad un'acropoli greca per posizione e utilizzo. Si notavano le alte colonne dei templi e il teatro posto sulle pendici; ma la loro meta era un enorme reggia posta all'entrata della collina.
I marinai si presentarono alle guardie, che successivamente li scortarono in un'enorme sala, davanti al cospetto dei rappresentanti della comunità. Erano seduti in ordine di casta sociale, dalla meno abbiente alla persona più ricca della città, fino ad arrivare al trono della regina, che però era vuoto.
"Marinai, presentatevi." Fece l'imponente voce di una ragazza, forse poco più giovane del ragazzo prigioniero, la quale stendeva rispettivamente accanto al trono vuoto. Indossava le armi di una guerriera greca, assai più simili a quelle ellene che all'armatura punica e in qualche modo egli percepì la sua superiorità rispetto ai comuni mortali.
"Mia signora, sono Amalu, capitano di una piccola nave di pescatori. Portiamo al vostro cospetto un barbaro con noi, che si pensa sia un semidio."
"Un semidio? A Cartagine?" Fece uno dei ceti più nobiliari stupefatto e quasi beffeggiante, alle cui parole molti altri annuirono, tanto che il capitano marinaio dovette schiarirsi la gola per spiegarsi meglio. "Ehm... L'abbiamo trovato in mare, ferito e totalmente denutrito. Un delfino lo stava trasportando."
"Un delfino, dici?" Chiese la giovane guerriera, guardando con circospezione e sospetto il ragazzo dallo sguardo chino; manteneva un'espressione neutra e quasi indifferente, in modo da celare meglio la sua identità. Non sapeva come quel popolo, straordinariamente sopravvissuto all'evoluzione del mondo, potesse reagire sapendo delle sue origini avverse alla loro storia.
"La regina, che al momento è indisposta per importanti affari statali, determinerà la sorte del barbaro, come anche la vostra paga." Riferì la ragazza, facendo poi segno alle guardie di portare il loro nuovo prigioniero nei sotterranei e di cedergli un pasto caldo.
Il ragazzo osservò un'ultima volta la divina fanciulla dai capelli ramati e gli occhi bovini, sempre più convinto di non essere l'unico essere divino.
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Χαρμολύπη - Una Libertà Inibita
FanfictionΧαρμολύπη - 2° Libro ❈𝘜𝘯𝘢 𝘴𝘦𝘯𝘴𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘥𝘪 𝘵𝘳𝘪𝘴𝘵𝘦𝘻𝘻𝘢, 𝘱𝘶𝘳 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘯𝘥𝘰 𝘧𝘦𝘭𝘪𝘤𝘦.❈ Sono passati tre anni dalla caduta di Zeus e dall'inizio del violento conflitto celato alle forze umane. Non si era mai vista una diverge...