8. Il Centro di Accompagnamento

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Art. 591, comma 2 del manuale delle regole:

È necessario che una persona Perfetta sia disposta ad ospitare lo studente classificatosi fra i primi dieci nella classifica individuale e che sia altresì disposta ad occuparsi di lui per un periodo non inferiore ai dodici mesi.


Per Trentacinque la domenica mattina aveva sempre avuto un sapore amaro e la colpa era tutta di un edificio di mattoni: il Centro di Accompagnamento. Fin da quando aveva tre anni aveva trascorso lì ogni settimo giorno della settimana, come molti altri bambini non Perfetti.

Era una grande struttura che sorgeva proprio al centro di ogni città, anche quelle più piccole, e che aveva lo stesso design in ogni luogo: pareti azzurre e un'enorme ruota verde scuro dipinta sulla facciata principale, sempre sul lato sinistro. C'erano dei gradini proprio davanti alla porta d'ingresso a simboleggiare l'abbandono dell'Imperfezione, uno scalino dopo l'altro. Una volta saliti e girato il pomello della pesante porta, compariva davanti agli occhi un piccolo ballatoio marrone in cui gli adulti salutavano i bambini e li affidavano ai membri del Centro di Accompagnamento, proprio al di sotto di uno striscione che recitava "QUI INSEGNIAMO A VIVERE".

A Trentacinque mancava ancora il fiato se ripensava a quello che accadeva lì, a quei gesti e a quei discorsi ripetitivi e sempre uguali che pian piano erano diventati parte di lui, senza nemmeno che lo volesse o lo sapesse.

Anche lì, alla Scuola dei Demeriti, il suo corpo si era svegliato sapendo che quella era domenica: la giornata della visita al Centro di Accompagnamento. Gli venne la nausea pensando a cosa lo aspettava; la mattina facevano loro ripetere sempre le stesse frasi, mentre uno dei figli del gestore del Centro li imbeccava: «Voi siete...» cominciava e loro continuavano: «...figli Imperfetti di una società Perfetta che non si impegnano a sufficienza a raggiungere gli obiettivi fisici, emotivi e intellettuali che devono acquisire, animati da una mentalità debole e pigra...» e la litania continuava e una volta finita ne iniziavano altre fino a che il figlio del gestore del Centro non si riteneva soddisfatto, e questo accadeva di rado prima di un'ora.

Una volta finita quell'attività venivano divisi in gruppetti più piccoli e il gestore del Centro o un suo familiare teneva loro delle lezioni. Vertevano sempre sugli stessi argomenti e usavano sempre le stesse parole per parlarne, Trentacinque dopo alcuni anni aveva memorizzato persino quelle, sillaba per sillaba: «Il Centro di Accompagnamento ha le pareti esterne di colore azzurro e quasi si confonde con il cielo. Questo a simboleggiare l'integrazione che verrà raggiunta fra le persone Perfette e chi seguirà attentamente le lezioni con impegno attivo» sussurrava fra sé e sé Trentacinque prevedendo ogni frase correttamente ogni volta, senza nemmeno capirla. O perlomeno senza capirla fino a che non divenne abbastanza grande da conoscere tutte quelle parole e realizzare che quelli del Centro volevano semplicemente dire che, come il Centro si mimetizzava col cielo, così loro, bambini Imperfetti, dovevano mimetizzarsi con le persone Perfette. A Trentacinque sembrava un'impresa impossibile: nemmeno l'edificio ci riusciva, anzi era circondato da banche, negozi e case molto alte che coprivano completamente ogni traccia di cielo sullo sfondo.

La lezione poi proseguiva. «La ruota a raggiera dipinta sulla facciata principale ricorda a ognuno che la società si prende cura di voi. Le persone Perfette sono il cerchione e voi siete i raggi: venite spinti in avanti e trascinati da loro. Per questo motivo la ruota è sempre a sinistra: sta andando avanti.» Questa parte Trentacinque se la ricordava fin troppo bene, la prima volta che l'aveva sentita aveva alzato la mano per obiettare.

«La ruota rotola in avanti solo se la si guarda da fuori dal Centro, se la si guarda dall'interno rotola indietro.»

La figlia del gestore che stava tenendo la lezione era diventata rossa dalla rabbia. «Sei davvero stupido» gli aveva detto, gli si era avvicinata furiosa e l'aveva tirato su da terra afferrandolo per il braccio. Si era tolta un piccolo pezzo di carta giallo cromo dalla tasca e glielo aveva avvicinato alla bocca. «Dillo cosa sei» gli aveva intimato.

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