14. Tic toc

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Art. 717, comma 1 del manuale delle regole:

Non è consentito disegnare o possedere mappe della scuola.


Alla Scuola dei Demeriti le campane suonavano ogni giorno alle sette di sera. I loro cupi rintocchi rimbombavano nelle stanze, asfissianti coprivano ogni rumore e ogni parola. Don. Risuonavano. Silenzio. Don. Riprendevano. Riecheggiavano alla stessa velocità del cuore e con lentezza si sostituivano al suo battito. Don (tudum). Don (tudum). E poi rallentavano, le pause fra l'uno e l'altro si facevano più lunghe e anche il cuore seguiva quel ritmo, dando l'impressione che da quel momento in poi sarebbero stati i rintocchi a decidere l'istante in cui ci sarebbe stato il battito successivo. Gli intervalli man mano si allungavano e il rintocco seguente pareva non arrivare mai, il cuore non ripartire più. L'aria mancava, il petto faceva male, poi finalmente don (tudum).

Durava tre lunghi minuti, poi pian piano il mondo riprendeva a scorrere e il fiato ricominciava a scivolare in gola: era finita, per le successive ventiquattro ore perlomeno.

Trentacinque odiava con tutto se stesso quelle campane, non importava dove si trovasse: i loro rintocchi echeggiavano con la stessa intensità e sortivano il medesimo effetto. Avrebbe tanto voluto potere rimanere disteso a letto durante quegli infiniti tre minuti ma se voleva cenare, doveva presentarsi in mensa entro le sette, non un secondo più tardi.

Anche quella sera Trentacinque aveva seguito Melissa e Pietro, aveva preso un vassoio e si era messo in coda in attesa che cominciassero a distribuire il cibo.

Alle sette in punto tutti gli studenti nella mensa si bloccarono e smisero di parlare, il battito del loro cuore e le loro azioni erano in mano a quei totalizzanti rintocchi. Era come assistere ad un film che pian piano dai colori passava al bianco e nero per poi bloccarsi su una determinata scena. Quando le campane smisero di suonare, gli studenti sembrarono ridestarsi e il chiacchiericcio lentamente riprese. Nessuno parlava mai di quello che accadeva in quei minuti e quella sera non fu diverso.

La coda per la cena scorreva veloce, i ragazzi erano ansiosi di potersi finalmente sedere e cancellare quella spiacevole sensazione di avere il cuore stretto con forza, soffocato nella presa di qualcun altro. Si avvicinavano al bancone e venivano serviti dai Moduli di Approvvigionamento. Erano dei piccoli aggeggi meccanici dalla forma simile a delle violette di campo; al centro dei petali avevano delle lineette nere che li facevano sembrare perennemente arrabbiati.

Quando fu il turno di Trentacinque, la Violetta più vicina a lui si inclinò di lato.

«Scansione... Attendere, prego» esclamò con una vocina acuta.

Passarono pochi secondi, poi la Violetta riassunse una posizione eretta. «Trentacinque. Pasto base. Primo piatto: minestrone; secondo piatto: pollo e spinaci.»

Man mano che la Violetta pronunciava il menù, le altre al suo fianco scivolarono giù dal bancone usando un lungo palo simile a quello dei pompieri, ma molto più piccolo. Ricomparvero pochi istanti dopo su delle scalette: trasportavano un piatto ricolmo per gruppo di quattro, le piccole foglie che fungevano da mani strette con forza ai suoi bordi. Il primo quartetto appoggiò il piatto delicatamente su un vassoio, seguito poi dal secondo. Altre Violette in equilibrio su una scanalatura posizionata a circa cinquanta centimetri sopra al bancone si calarono utilizzando qualcosa di simile a dei lunghi elastici da bungee jumping stringendo ciascuna forchetta, coltello, cucchiaio e bacchette e, dopo avere rimbalzato in aria per un po', lasciarono cadere le posate ai lati del piatto.

«Pane o grissini?» domandò una Violetta. Quella era l'unica parte del menù che tutti gli studenti avevano in comune, non importava se si fossero piazzati primi o ultimi nella classifica delle stanze.

La Scuola dei DemeritiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora