26. Gaia

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Art. 532, comma 5 del manuale delle regole:

Nel caso di un trasferimento di uno studente da una stanza ad un'altra, il suo numero non può e non deve essere cambiato.


Melissa prese Trentacinque sottobraccio con un leggero sorriso. «Seguimi, conosco il posto adatto.»

Lo guidò lungo alcuni corridoi, sorpassò un tappeto con disegnata una passerella su uno strapiombo e imboccò un passaggio sul cui pavimento era disteso un tappeto più liso degli altri: era bianco e pieno di piccoli puntini neri numerati, come in uno di quei giochi in cui devi connetterli per ottenere un disegno. In fondo al corridoio se ne stavano due porte di legno verde scuro, sulla porta di sinistra era incisa una grossa lettera M, su quella di destra la lettera F.

Prima che Trentacinque avesse il tempo di protestare o di fare domande, Melissa lo spinse dentro il bagno dei maschi e lo seguì guardandosi attorno circospetta.

C'erano tre lunghi lavandini color verde chiaro, vagamente tendente al grigio, e degli specchi enormi al di sopra di ciascuno di essi. Di fronte, c'erano tre stalli con le porte spalancate che mostravano i tre wc alla turca, inspiegabilmente puliti.

Melissa entrò decisa in uno dei tre. «Dimmi.»

«E se entra qualcuno?» domandò Trentacinque, ancora sgomento.

«Chiudo la porta e di me vedrà solo le scarpe» lo rassicurò. «Tu stai lì vicino ai lavandini, però. Quattro gambe nello stesso stallo sì che genererebbero sospetti.»

Trentacinque abbassò il capo, imbarazzato.

«Sai che puoi dirmi qualsiasi cosa» mormorò la ragazza, la voce più calda e morbida.

«Io...» iniziò il bambino. «Riguarda Sara» sputò fuori.

Melissa sussultò, non sembrava si aspettasse che sarebbe stato quello l'argomento di conversazione. «Sara?»

«Sì, so alcune cose che... penso potrebbero... che sarebbe meglio tu sapessi, ecco.»

Melissa fece per incrociare le braccia, ma si trattenne. «Dimmi pure.»

Trentacinque fece un respiro profondo. «Quando sono andato nella stanza 80, sai per fare quella cosa che avevo deciso con Pietro, ho incontrato Sara in corridoio, stava uscendo da una delle aule in disuso proprio vicino a dove è stata trovata Ginevra.» Aveva parlato velocissimo per evitare di perdere il coraggio. «E non è tutto: aveva con sé una ventina di rane origami e gru origami... Io... Io non so più che pensare, a volte mi sembra colpevole, altre innocente. Mi ha minacciato di non dirtelo, ma mi è sembrato giusto lo sapessi.»

Melissa rimase in silenzio per un istante, ma gli sorrise debolmente. «Hai fatto bene a raccontarmelo, immagino sia spaventoso avere anche solo il dubbio che Sara sia un'assassina.»

«Sì, ed è... pericoloso. Non si sa mai cosa potrebbe succedere.» Trentacinque sbatté le palpebre velocemente. «Anch'io non sono convinto al cento per cento che sia lei la colpevole, però non sono nemmeno sicuro che lei sia innocente e...»

«È meglio non rischiare?» completò Melissa. «Mi sembra di sentire Pietro. "Allontanati da lei, gli altri penseranno che sei sua complice" e cose simili. Sara però non ha fatto nulla, perché dovrei abbandonarla? Lei per me c'è stata quando sono arrivata qui.»

Trentacinque chiuse le dita a pugno. «Ma come fai a fidarti di lei?» domandò, ingoiando ciò che realmente pensava: "come fai a fidarti di lei e a non fidarti di me? Sento che c'è qualcosa che non mi dici". Ancora più in profondità si annidava la domanda che avrebbe voluto porre: "perché non ho mai incontrato nella mia vita qualcuno che mi credesse e che si fidasse in maniera così totale di me? Cos'ho io che non va e che Sara ha?".

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