28. La confessione

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Art. 500, comma 4 del manuale delle regole:

Qualora il professore ritenga che uno studente non abbia risposto del tutto o in parte alle domande di una verifica o di un'interrogazione o non abbia completato alcune parti di un progetto per ottenere un voto migliore, il professore assegnerà a tale studente il voto peggiore raggiunto dai suoi compagni moltiplicato per un numero intero da uno a dieci. 


Trentacinque si sentì trafiggere, la recita che credeva perfetta ancora una volta era stata scoperta: anche Melissa aveva capito che stava male. Per un breve istante provò un sollievo immenso: poteva smettere di fingere almeno per un po', togliere una delle mille maschere che indossava.

«Puoi fidarti di me» rincarò la dose Melissa.

Trentacinque sollevò la testa, il suo sguardo si appoggiò brevemente sul proprio riflesso, per poi ricadere a terra. «Sì, non ho letto il manuale delle regole» ammise. «Ad essere precisi non ho nemmeno letto nessun libro di testo da quando sono qui.» Si fece coraggio, espirò e rivelò uno dei tanti segreti che lo aveva accompagnato fin dal primo giorno alla Scuola dei Demeriti. «Io non ci vedo molto bene.»

Melissa gli si avvicinò addolorata. «Deve essere stato difficile sopravvivere qui senza dirlo a nessuno, non riesco nemmeno a immaginare come tu ci sia riuscito senza che nessuno se ne accorgesse.»

Trentacinque scosse le spalle. «Ci sono abituato.»

Gli occhi della ragazza si incupirono e un silenzio carico di dolore riempì l'aria. «Mi dispiace che tu debba vivere tutto questo.»

Il bambino abbassò lo sguardo. «Non dispiacerti, è colpa mia. Se fossi nato Perfetto, o comunque meno Imperfetto, nulla di tutto questo sarebbe accaduto.» La sua voce si incrinò. «Nemmeno le pillole hanno funzionato con me... Non sono riuscite ad aggiustarmi... E le ho prese ogni giorno, seguendo le prescrizioni, non ho mai saltato una volta.» Gli venne da piangere. «Speravo che anch'io sarei diventato come gli altri... Un figlio di cui andare fieri, di cui vantarsi con gli altri genitori, una persona intera e completa.»

Al bambino sembrava che le pareti del bagno si stessero chiudendo su di lui, schiacciandolo, stritolandolo fino a che ogni più piccola molecola di ossigeno non avesse lasciato i suoi polmoni.

Melissa si sentì stringere il cuore, come se qualcuno glielo avesse afferrato e lo stesse frantumando: conosceva fin troppo bene quella sensazione, quel desiderio di essere accettati dagli altri talmente forte da far perdere se stessi; e le parole di Trentacinque erano così simili a quelle di Gaia, talmente affini da destare preoccupazione.

«Vorrei essere come tutti gli altri...» riprese Trentacinque, la voce che aveva cominciato a incrinarsi sempre di più, facendo trapelare il suo dolore. «Io... ho qualcosa che non va... Molto più grande degli altri» singhiozzò. «Anche mia madre l'aveva capito! È per questo che mi ha dato via...»

A Melissa si gelò il cuore: non immaginava che lui fosse uno di quei bambini, uno dei tanti che i genitori avevano affidato allo stato, rinunciando alla responsabilità genitoriale.

«Non ero abbastanza bravo a nascondermi fra le persone normali» mormorò Trentacinque e deglutì forte. «E poi gli occhiali, se non li avessi messi avrei preso voti bassi a scuola, e gli altri avrebbero cominciato a sospettare che la mia percentuale al TLP non fosse poi così alta.»

Trentacinque iniziò a tremare leggermente, ma continuò a parlare: «I primi mesi mia madre mi urlava contro, continuava a ripetermi che era tutta colpa mia, poi ha smesso di parlarmi.» Gli sfuggì un singhiozzo. «Ho passato settimane senza sentire la sua voce, non so cosa fosse peggio: se le grida o il trattamento del silenzio e la delusione nei suoi occhi era enorme.»

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