22. Reclusione

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Art. 623, comma 2 del manuale delle regole:

Qualsiasi studente non presente in aula magna alle ore 19:00 di sabato riceverà una maggiorazione del suo numero di demeriti pari ad un settimo del proprio punteggio.


Trentacinque camminava sui pesanti tappeti senza trascinare i piedi. Si sentiva vivo, i muscoli pieni di un'energia guizzante e le corde vocali che sembravano implorare di essere usate per gridare parole a caso. I suoi piedi non volevano camminare, ma correre, sfrecciare lungo i corridoi e inseguire quella strana sensazione che si era insinuata dentro al suo petto. Non sapeva cosa fosse, ma gli piaceva: sembrava sollevarlo da terra invece di farlo sprofondare.

Anche l'aria aveva un sapore diverso dal solito, era più fresca, più viva e la sua testa riusciva ad elaborare un unico pensiero: "Per la prima volta nella mia vita, potrei riuscire ad avere un'amica."

Quella parola, amica, brillava come un faro nella sua mente. Corricchiò sui tappeti seguendo i percorsi stampati al di sopra e, quando vide il lunghissimo tappeto nero del corridoio dell'aula di etica, per la prima volta si fermò. Su di esso erano ricamati dei quadrati bianchi che formavano un lunghissimo gioco della campana. Trentacinque ci saltò sopra, prima con un piede solo poi con due. Era divertente.

Un solo piede, due.

Un solo piede, due.

Fino alla fine del corridoio.

Poi i quadrati si interruppero, lasciando spazio ad altre immagini. Trentacinque corse per tutti gli ultimi metri che mancavano per arrivare alla stanza 30, mentre fantasticava sulle prossime conversazioni che avrebbe avuto con Aurelia. Forse l'avrebbe già rivista a colazione il giorno successivo, forse frequentavano assieme qualche lezione e lui non l'aveva mai notata.

La speranza si diffondeva rapida come veleno nelle sue vene, gli riempiva i polmoni di aria leggera e piena di aspettative. Abbassò la maniglia della porta della stanza 30.

Spinse.

Spinse con più forza, ma non si aprì.

Strano.

Ora che ci pensava non aveva mai visto una porta delle stanze chiusa: erano sempre aperte o socchiuse. Riprovò ad abbassare la maniglia e a spingere, ma senza successo.

Forse funzionava come la porta dell'infermeria?

Bussò, ma niente si mosse. Non doveva entrare in camera? Ma non aveva senso, i Sorveglianti non avevano detto nulla in merito.

Bussò e bussò ancora con frenesia, sentì un rumore, come un piccolo ingranaggio che girava piano, bussò più forte, ma il rumore si azzittì. Fece un profondo respiro. Doveva ragionare, non doveva farsi prendere dal panico e soprattutto non doveva buttarsi alla cieca sul problema. Chiuse gli occhi e dopo un po', come in un lampo, gli tornarono alla mente le parole del Fico: aveva detto che in pochi si chiedono perché le mele cadano in basso e non in alto. In effetti, lui non se lo era mai domandato. Quando si era trovato di fronte a degli alberi da frutta aveva pensato a come raggiungere le mele, le clementine e le ciliegie, a come potessero produrre qualcosa di così colorato e succoso, si era fatto tante domande, ma quella non gli era mai venuta in mente. Forse anche in quel caso stava concentrandosi sul problema sbagliato. Il punto non era come aprire la porta, ma chi l'avesse chiusa.

Pietro e Melissa, dovevano essere stati loro: erano ancora in camera quando lui era uscito per prendere le pillole e solitamente non si alzavano molto presto. Dovevano essere ancora all'interno della stanza, altrimenti li avrebbe incontrati in farmacia. La domanda successiva, quindi, era: perché non gli aprivano? Dovevano averlo sicuramente sentito bussare, ma non avevano detto una parola. Quindi forse non potevano aprire la porta dall'interno.

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