Anni e anni di via vai dall'ospedale, dottori e infermieri che ti circondano, ti crescono, cercano una cura o almeno un modo per mandare avanti la tua vita.
Cresci con la consapevolezza di non essere uguale agli altri, ma è normale. Per te è normale la tua vita, il tuo modo di fare le cose è normale, i tuoi genitori che ti seguono ovunque è normale, ma per gli altri non lo è.
Gli adulti fanno domande e chiedono spiegazioni, mentre i bambini ti guardano curiosi e con la voglia di sapere quello che fai di diverso da loro, ma a soli tre anni non sai spiegare ai tuoi amichetti dell'asilo perché sei stata in ospedale così tanto tempo e perché hai bisogno dell'aiuto della tua mamma per andare al bagno.
A soli tre anni non sai spiegare come ti sei ritrovata su un piccolo lettino di ospedale mezza stordita dopo aver passato ore in una sala operatoria...non lo sanno spiegare neanche i tuoi genitori a volte, loro non sanno come spiegarti il cambiamento che ha subito la loro vita quando hanno scoperto che qualcosa non andava nel corpicino della loro bambina, però lo hanno affrontato. Hanno affrontato con forza il viaggio per trovare ospedali con attrezzature adeguate a curarti. Hanno fatto il più possibile per riuscire a decifrare le diagnosi mediche e con quella stessa forza hanno saputo darti coraggio e le giuste spiegazioni su quello che dovevi affrontare. E sempre con quella forza hanno spiegato tutto a chi faceva domande e pretendeva risposte anche quando quelle risposte costavano loro uno sforzo immane e avrebbero preferito tacere.
Poi si inizia a crescere, arrivi all'età di sette anni e sai già cosa devi dire ai tuoi nuovi amichetti di scuola, perché non vai al bagno con loro e soprattutto perché la tua mamma passa ogni giorno allo stesso orario, ti prende per una decina di minuti e poi ti riporta in classe per poi andarsene di nuovo.
Poi si arriva all'età di nove anni, ti ritrovi di nuovo in quella camera di ospedale, adesso capisci un pochino di più e ti guardi intorno. Vedi tanti bambini chiusi lì dentro, proprio come te, molti sono più piccoli e tocca a te dare coraggio a loro, mostrarti forte e indistruttibile. Ti ritrovi a nove anni in un'anticamera della sala operatoria assieme ad un altro bambino, forse un anno più piccolo di te, anche lui ha paura e ansia proprio come te, ma sai già che solo tu puoi aiutarlo. Non sua madre, non i dottori, ma tu. Tu sai come calmarlo, perché tu sei nelle sue stesse condizioni, ma sai già come andrà a finire.
Continui a crescere, diventi sempre più grande, e con te cresce anche la consapevolezza del tuo problema e tutte le conseguenze che ne derivano. Ti rendi conto che non sei uguale agli altri, nonostante tutti continuino a dirtelo per cercare di convincerti, ma tu sai quello che vi distingue.
Inizi anche a renderti conto che a causa delle cose che non puoi fare come tutti gli altri, ti è difficile creare delle solide amicizie. A scuola sei quello che riesce a legare di meno, perché non puoi unirti al gruppo di amici che ricorda con gioia e divertimento i momenti vissuti durante quella gita scolastica a cui tu non hai potuto partecipare, perché "non si sa mai".
Quelle esperienze mancate, quegli amici di passaggio non hanno fatto altro che vivere davanti ai tuoi occhi e tu ti sei sentita uno spettatore con la voglia di vivere al loro stesso modo, come quando vedi uno di quei film per adolescenti dove la protagonista, all'inizio un po' sfigata, inizia ad essere la protagonista di una vita incredibile e tu vorresti fare tutto quello che fa lei.
Poi però torni alla realtà e sei solo una ragazza chiusa in sé stessa con la voglia di fare nuove amicizie pari alla voglia di stare in ospedale. Sei solo una ragazza che vede semplicemente i giorni trascorrerle davanti agli occhi mentre è rintanata in un angolino a continuare a guardare gli altri che la vita se la godono.
«Min-jee! Tesoro dobbiamo andare giù a fare l'eco» la ragazza posò i suoi grandi occhioni sulla o.s.s. presente quel pomeriggio, una donna robusta e con gli occhi dolci, le mani ben ancorate alla sedia a rotelle che aveva portato con sé nella stanza.
Min-jee chiuse il suo portatile e lo poggiò sul comodino accanto al suo letto, poi, dopo aver indossato le pantofole e la mascherina andò a sedersi sulla sedia a rotelle dando così modo alla donna di portarla in un altro reparto.
«Stai tranquilla cara, sono solo gli ultimi accertamenti per la tua operazione, ancora un po' di pazienza e poi potrai tornare a casa» la rassicurò come al solito la donna.
Min-Jee, però, non aveva più il bisogno, ormai si era rassegnata. In fondo, dopo aver fatto già due operazioni in meno di tre mesi, ora che doveva fare la terza, la rassegnazione era l'unica emozione che l'accompagnava.
❀Angolo autrice❀
Buonasera a tutti! Sono tornata dopo un periodaccio (non ancora finito, ma va meglio).Probabilmente leggendo capirete più o meno quello che mi è successo, ovviamente non ho incontrato l'amore della mia vita...no purtroppo Min Yoongi non mi è apparso in ospedale per farmi innamorare di lui ahah.
Io spero vivamente che My Amygdala vi possa piacere e che la mia Min-Jee vi possa aiutare a sopportare un brutto periodo, che sia a causa della vostra salute, o dello studio, della famiglia o perché no dell'amore.
Vi lascio con un "Fighting" e noi ci rivediamo giovedì prossimo con il capitolo 1.
Buonaserata a tutti voi💜
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My Amygdala ||Min Yoongi||
FanfictionAvete mai sentito parlare dell'insufficienza renale? Beh io si, da quando sono piccola...Perché? Perché è il mio piccolo problema di salute che mi accompagna ogni giorno, ma non starò qui ad appesantirvi con la mia cartella clinica ahahah. Quello ch...