26✶𝒏𝒐𝒏 𝒔𝒊 𝒅𝒂𝒏𝒏𝒐 (𝒎𝒂𝒊) 𝒔𝒆𝒄𝒐𝒏𝒅𝒆 𝒑𝒐𝒔𝒔𝒊𝒃𝒊𝒍𝒊𝒕à.

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Sooyun

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Sooyun

"La vita a volte è così imprevedibile che quando ti afferra, ti prende dal collo, ti tira su e ti sputa addosso tutte le cattiverie del mondo, e tu rimani lì, a subirtele, a soffrirne, a rimanere immobile"
Buxxykook.

Quello che doveva essere mio padre, era a pochi metri da me. Spalancai gli occhi non appena lo vidi e per un attimo non mi accorsi nemmeno di aver mollato la presa dalla busta che avevo tenuto in mano per tutto quel tempo.

Il cuore prese a battermi forte più di prima, dal disgusto che provavo verso quell'uomo. Il mio sguardo saettava tra Lee Mark, con addosso dei pantaloni a sigaretta blu scuro, la camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti, una cravatta leggermente allentata al collo, i capelli castani ben sistemati, nessun accenno di barba, che mi guardava con un sorriso imbarazzato sul volto e a mia madre che ci osservava entrambi mentre si mordeva l'angolo delle labbra, come se da un momento all'altro potessimo azzannarci. E a quel punto non avrebbe avuto un'intuizione sbagliata.

Mi stavo chiedendo cosa diamine ci faceva in casa mia lui e soprattutto per quale motivo mia madre lo aveva fatto entrare. Con quale diritto e coraggio si permetteva persino di parlarle, di ritrovarsi a poca distanza da me e da lei. Rientrando da una porta dove il pavimento avrebbe dovuto risucchiarlo e non portarlo più in superficie.

«Sooyun...» la voce del signor Lee risuonò nelle mie orecchie che producevano un ronzio fastidioso, la sua voce profonda con quel marcato accento americano non era tra i suoni che ricordavo, «Quanto tempo...» continuò facendomi stringere la mani in due pugni lungo i fianchi, sembrava persino che aveva ripetuto qualche parola in coreano solo per fare la facciata. Chissà da quanto si stava esercitando.

Era a disagio, lo riuscivo a percepire, quella sensazione era palpabile così come la mia rabbia nei suoi confronti, dove più lo guardavo più aumentava di livello, assieme al voltastomaco che mi stava donando la sua faccia da newyorkese ricco sfondato che non aveva avuto la decenza di dare lo stesso peso alla famiglia e al lavoro.

«Cosa ci fa lui qui?» chiesi rivolgendomi a mia madre, il timbro della mia voce incrinato per la collera che mi stava bloccando lo stomaco in una morsa, facendomi sentire male. Sentivo il petto opprimermi i polmoni, facendomi respirare a tratti.

«Be' ecco lui...» tentò di dire mia madre ma l'uomo che mi aveva fatto penare l'inferno tutti quegli anni la guardò con un accenno di sorriso, tornando a guardarmi, e probabilmente il disprezzo che avevo disegnato sul volto si notava benissimo, tanto da farlo deglutire rumorosamente.

«Ero di passaggio, un viaggio da New York fino al Giappone, avevo pensato di...»

«Di fare che cosa?» lo interruppi bruscamente, con le lacrime che avevo ricacciato indietro alla fermata dell'autobus, vicino al veterinario, che minacciavano un'altra volta di essere versate, «Di arrivare qui e fare cosa, Mark?» quando pronunciai il suo nome di battesimo lo vidi quasi sussultare.

𝐌𝐑. 𝐌𝐎𝐓𝐎𝐑𝐁𝐈𝐊𝐄𝐑 | 𝐣𝐣𝐤 [✓]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora