VII

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Scelte difficili

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Cloe

Non appena avevo chiuso quella porta alle mie spalle mi ero subito immersa in un mare di sensi di colpa. Tutt'ora non riesco a credere a ciò che ho fatto.. rifiutarmi di firmare un importante accordo, trattare con sufficienza Isabel.. non me lo perdonerò facilmente. Sempre se lo farò.

Ancora non sono arrivata in azienda e, se devo essere sincera, ho paura ad andarci. Molto probabilmente mio padre, John, è già al corrente di tutto e starà solo aspettando di vedermi.

Cammino.
Cammino e cammino. A sto giro non ho chiamato il taxi, preferisco farmela a piedi.

Il mio telefono in tasca inizia a vibrare insistentemente. Isabel. 'Come diamine fa ad avere il mio numero di telefono?'. Sicuramente gliel'avrà dato mio padre.
Lascio che continui a squillare..

Ed ecco che dopo quaranta minuti di camminata, inizio ad intravedere l'enorme insegna blu della Phoenix Group.
Le mie gambe iniziano a tremare. Le dite giocano nervosamente con l'anello e, il mio respiro inizia a farsi pesante. 'Peggio di così non potrebbe andare.. credo.'

Dire che me la sto facendo sotto penso sia molto.. diminutivo. Mio padre se la prenderà sicuramente con me, mentre Isabel e tutti gli altri non lo so.. Non ne saranno contenti, questo è poco ma sicuro.

Ento nell'ascensore e aspetto di arrivare al mio piano. Quando le porte metalliche si spalancano mi ritrovo davanti un uomo con un completo elegante -come tutti gli altri dipendenti-.

«Suo padre l'aspetta in ufficio» Mormora per poi dileguarsi.

'Tre, due, uno..' E mi ritrovo seduta nella sedia difronte alla sua scrivania.
È in religioso silenzio. Ha la testa bassa e le mani sono strette fra di loro. Le cose sono due: O si trasforma in Hulk e ribalta gli arredi, oppure, farà lo stesso ma senza trasformarsi.
'Non dovrei scherzarci così tanto'.

«O mi dai una motivazione più che valida per quello che hai fatto, o ne paghi le conseguenze. A te la scelta.» Afferma continuando ad osservare le sue mani.

Silenzio.
Sono io, ora, in religioso silenzio.
C'è una "motivazione più che valida" per quello che ho fatto? No. Se gli raccontassi la storia di Robert non ci crederebbe, e come biasimarlo.

Penso che il mio non dire nulla, per lui, sia una risposta più che sufficiente. Alza lo sguardo con una lentezza disarmante e, come per farlo apposta, si avvicina a me nella stessa maniera. Sul mio collo posso sentire il suo fiato caldo. 'Non ti muovere'.

«Ritieniti. Morta.» sussurra e, successivamente, mi afferra bruscamente dal braccio facendomi -dì conseguenza- alzare in piedi.

'No. No. No, ti prego..'

«Ma ti rendi conto di cosa cazzo hai fatto!?» Urla.

«Dimmi il cazzo di motivo» urla nuovamente lanciando giù dalla scrivania tutti i fogli

«Io..» Le parole mi muoiono in bocca non appena lui si avvicina di nuovo.

«Tu, tu cosa?! Avevi un solo compito: far andare bene quel cazzo du colloquio e io cosa vengo a scoprire? Che per te era una "stronzata".» «Una STRONZATA!» Urla facendomi spaventare ancora di più.

La sua mano finisce attorno al mio collo facendomi spaventare. Più di una volta l'ha fatto -stringendo anche di più- e, fortunatamente, si è sempre fermato o, comunque non era così tanto stretto da non riuscire a respirare. Dopo l'accaduto con Dylan ho paura di avere le mani attorno al collo o anche solo ricevere un abbraccio.

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