Capitolo 2. Ryss

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Quello che mio padre chiama il musical non è davvero un musical. Abbiamo il gruppo di teatro a scuola, ma non fanno nessun musical. Io sono nella banda della scuola. Definirla una normale banda della scuola forse è un po' complesso, visto che io suono la chitarra elettrica, ma la Professoressa Johnson non se la sentiva di lasciar fuori chi non ha uno strumento classico, così ha messo in piedi una banda un po' mista.

Abbiamo una marea di violini, un pianoforte, due pianole una chitarra elettrica, una batteria, qualche strumento a fiato e nessuna idea di cosa fare con questa accozzaglia di strumenti, ma sono certo che la Professoressa Johnson si inventerà qualcosa, nei momenti in cui non è impegnata a sfuggire alle lamentele di suo marito, il Professor Johnson. Ho strategicamente evitato la sua classe di letteratura quest'anno, perché so che essere studente di entrambi, marito e moglie, diventa problematico quando litigano.

Io non volevo andare alla banda. Detesto le bande scolastiche; sono come dei gruppi veri, ma troppo grandi da gestire. Però, visto che ora Steven non è più interessato a condividere con me la sua stanza e mio padre è quasi sempre in casa, questo è l'unico posto in cui posso suonare la chitarra in pace.

Oggi sembra esserci più gente del solito. Almeno cinque violini sono nuovi, sicuramente del primo anno, e si è aggiunta qualche faccia anche dall'ultimo. Tutti gli altri sono più o meno gli stessi che ho visto l'anno scorso alle partite, ma devo ammettere che non ci ho mai fatto molto caso. Sono sempre stati tutti volti identici, incollati ai loro violini e alle trombe, volti che potevano essere anche quelli della classe di chimica o del club di scacchi.

Ho avuto sei lezioni oggi e non mi ricordo neanche una faccia, a parte quelle di Steven, Marta e Philip, con cui ho avuto matematica. Il banco accanto a Steven è sempre stato mio e così anche il ruolo di migliore amico, quello a cui diceva tutti i suoi commenti sulla lezione e a cui raccontava tutti i suoi problemi. Forse è meglio averlo perso, uno che parlava solo di sé stesso. Eppure c'è qualcosa che non va, che mi tira lo stomaco, i polmoni e il cuore.

«Ryss,» la Professoressa Johnson mi raggiunge e rabbrividisco quando mi posa una mano fredda sulla spalla. «Sono contenta che tu sia con noi, quest'anno. Chitarra elettrica, giusto?»

«Sissignora» rispondo alzando la chitarra.

«Benissimo, siediti pure lì» indica una sedia in fondo all'aula, sulla sinistra rispetto al pianoforte e alle due pianole. I ragazzi che siedono lì sono chiaramente riconoscibili: capelli sistemati alla perfezione, con il gel i due maschi e con le mollette la ragazza, camicie bianche e la collana con la croce. Niente crocifisso, niente Gesù, solo la croce. San Christopher.

Davanti a me sono sistemati una decina di violini e accanto ho la batteria. A suonarla c'è un ragazzo con i capelli imbevuti di gel, quasi il doppio di quanto ne portano i ragazzi della San Christopher. Mi sta ad osservare per un po' mentre collego la chitarra e mi siedo; quando mi volto verso di lui, mi sta ancora fissando e non dà segni di voler smettere. Provo a fargli un sorriso quando un lieve tepore comincia a colorarmi il viso e lui alza un sopracciglio. Non so cosa mi metta più in imbarazzo, se il modo in cui mi guarda o la mia reazione stupida. E anche quando i suoi occhi si spostano, mi rimane addosso un senso di... Sporcizia, come mi avesse tirato addosso una lattina piena di birra.

«Bene, ragazzi,» esordisce la Professoressa Johnson quasi saltellando sui tacchi, spingendosi gli occhiali rossi sul naso. «Come molti di voi sanno, ancora non sappiamo bene come conciliare i violini e una chitarra elettrica,» indica prima i ragazzi della fila davanti e poi me, e quando lo fa tutti si voltano. «Ma per oggi riprenderemo quello che abbiamo fatto l'anno scorso»

Adagio la chitarra, perché immagino che per oggi non la suonerò, e mi metto ad osservare le persone che ho intorno. Dei violinisti vedo solo le nuche e cerco di non guardare il batterista, nonostante senta i suoi occhi addosso, così mi focalizzo sul pianista. Non vedo i due ragazzi alle tastiere, ma vedo chiaramente il piano e il ragazzo che vi siede davanti. È della San Christopher, con una catenina con la croce appesa al collo e le mani callose, lunghe e affusolate. Ha i capelli neri, la frangia tirata su con il gel, una ciocca che gli ricade sulla fronte, e le labbra carnose. È carino. Non che a me interessi in quel senso, piuttosto le fossette a lato della sua bocca e gli occhi scuri mi suscitano una certa invidia. C'è solo qualcosa che lo differenzia dagli altri due della San Christopher: la camicia bianca sotto la giacca color nocciola è sgualcita e ha una macchia di quello che potrebbe essere caffè sul colletto.

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